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Maria o Medea? Le donne, lo spirito di sacrificio e la sciatteria impegnata

Creato il 14 agosto 2013 da Eloisa @EloisaMassola
Maria o Medea? Le donne, lo spirito di sacrificio e la sciatteria impegnataSiamo ancora ferme lì. Dopo decenni di reggiseni bruciati e di rivendicazioni uterine ci troviamo di fronte all'eterno dilemma: scegliere se essere Maria (la donna-madre) o Medea (la donna selvaggia, che non può essere sottomessa).
Le donne italiane del ventunesimo secolo sono confuse, è inutile negarlo. Non sanno essere "consapevoli-e-basta" - ma continuano a fare i conti con quei sensi di colpa e quelle esitazioni che sono un retaggio pesantissimo del bigotto-cattolicesimo made in Italy.
Ricordo con un misto di affetto e malinconia il giorno in cui una cara amica (devotissima al padre padrone, valido sostituto di un marito stabile a cui dedicare vita e corpo) mi confidò di non riuscire in nessun modo a prendersi cura di se stessa. L'argomento era frivolo (tipicamente femminile, direbbe qualcuno): si parlava di acconciature - o forse di creme per il corpo. E lei venne fuori con una frase solo apparentemente insignificante: «Ah no! Io per me non faccio nulla... a che scopo prendermi cura di me stessa?».
Sono sicura che qualche lettrice, a questa risposta, sentirà crescere una punta d'orgoglio: ma certo! Per quale motivo noi donne dovremmo perdere tempo con certe scempiaggini? La vita è nostra, riprendiamocela!
E invece no, care mie. Quella della mia amica era tutt'altro che una vita libera ed entusiasmante. Era, al contrario, un'esistenza di eterna figlia, di donna a metà, quotidianamente votata al sacrificio in favore degli altri: del padre (in primis), ma anche della madre, del compagno, delle stesse amiche...
Eredi come siamo dell'intransigente morale cattolica, siamo portati a considerare con favore lo spirito di abnegazione portato all'estremo. "Che brava ragazza", dicevano tutti di lei - genitori, professori, datori di lavoro. Più semplicemente, era una ragazza debole.
Se fosse stata un uomo, le stesse persone che avevano tessuto le lodi della mia amica avrebbero senz'altro esortato il giovanotto a "farsi una vita", ad abbandonare il nido per spiccare il volo una volta per tutte. Ma da una donna... si sa... non ci si aspetta forse che si sacrifichi per la felicità del prossimo? Non dovrebbe bastarle questo, per sentirsi appagata?
In realtà, essere Maria non è poi così divertente.
Negli States, il settimanale "Time" ha di recente lanciato una provocazione, dedicando la propria copertina alle coppie che scelgono di non avere figli e che, nonostante questo, sono libere e soddisfatte. L'immagine mostra un uomo e una donna sorridenti, sicuramente meno stressati di molti genitori coatti: «Quando avere tutto significa non avere figli», recita il sottotitolo.
Lauren Sandler afferma infatti che le donne non dovrebbero sentirsi realizzate solo in virtù della funzione riproduttiva dei loro corpi.

Maria o Medea? Le donne, lo spirito di sacrificio e la sciatteria impegnata

La copertina di "Time"


Non dovrebbero, appunto. Il condizionale è d'obbligo. Perché, se alcune donne scelgono con fierezza la via dell'emancipazione, ci pensano subito tutte le altre, a farle sentire inopportune e inadeguate.
Alcune amiche (che, come me, hanno superato i trent'anni e sono ancora senza figli) mi raccontano di battute sarcastiche sulla loro scelta di non procreare: «Se oso rispondere: "Perché dovrei avere bambini?", la risposta è quasi sempre: "Perché sì". Oppure: "Perché senza figli una donna non è una vera donna"» riferisce Luisa sulla mia bacheca di Facebook. Come lei, ce ne sono molte altre.
Medea, d'altronde, fa paura. Non serve a nulla che Christa Wolf abbia tentato di rassicurarci sulla genesi patriarcale e maschilista del mito: c'è sempre qualcosa di sospetto in una donna che decide di non avere figli - potrebbe essere una potenziale matricida, oppure una puttana. Il passaggio è breve.
Un uomo può distinguersi dalla massa... ma una donna! Se esce dal gregge deve essere punita - e spesso questo avviene nel modo più crudele, come ci narrano i recenti fatti di cronaca.
Destano sospetti anche le donne troppo curate - quando si percepisce (e la percezione... oh, quanto è forte!) che non lo fanno per una forma di schiavitù mentale (per piacere al maschio), ma perché amano se stesse con consapevolezza e autodeterminazione. Non a caso alcune preferiscono ostentare una certa (rassicurante) "sciatteria-da-donne-impegnate" - sebbene continui a sfuggirmi il nesso tra una presunta superiorità morale e l'orrore della trasandatezza.
Interrogando (ancora una volta) i miei contatti di Facebook sull'argomento, ho letto e annotato l'opinione di C.: «Deve possedere davvero poche risorse interiori, chi si illude di affermare la propria indipendenza semplicemente trascurando se stesso». Come darle torto?
In un certo qual senso... anche nel caso della "sciatteria intellettuale" siamo ferme (granitiche, nella nostra immobilità) all'affermazione femminile in base a criteri estetici e superficiali: perfino negandoli, conferiamo loro una visibilità adamantina. Così, tanto le donne che si truccano per essere viste e toccate, quanto le occhialute e ciabattone "alternative", scelgono di appartenere ad un determinato canone estetico - e lo fanno in virtù del giudizio altrui.
Bombardate come siamo da stimoli negativi e pregiudizi striscianti (i misogini sono molto più numerosi di quanto crediamo), dobbiamo ammettere che non è facile uscire da questa impasse.
Tutto ciò che possiamo (e dobbiamo!) fare è mantenerci vigili, essere attente ascoltatrici di noi stesse e della realtà che ci circonda - che tanti danni ha prodotto sulla stessa percezione del nostro essere femminile.
Dobbiamo smettere di essere carine e accomodanti per evitare fastidi o discussioni interminabili e affermare con forza ciò che davvero vogliamo, ciò che davvero non sopportiamo.

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