di Giuseppe Maggiore
De Maria numquam satis, di Maria non si dice mai abbastanza. L’interesse sconfinato attorno alla figura della Madonna è ben racchiuso in quest’antica espressione. Potrebbe perciò risultare scoraggiante e persa in partenza ogni impresa finalizzata a tratteggiarne un profilo esauriente e definitivo. Raccontare chi è Maria dal punto di vista biografico, potrebbe in verità costituire un’impresa molto semplice e di rapida soluzione, se solo ci attenessimo esclusivamente alle primissime e più accreditate fonti disponibili[1], come si farebbe con un qualunque altro personaggio della storia. Ne verrebbe innanzitutto fuori il quadro di una famiglia ebrea sui generis, vissuta circa duemila anni fa in terra di Israele, fondata su un matrimonio non consumato, quindi legalmente nullo, tra una minorenne di dodici anni e un uomo prossimo alla morte, il cui figlio avuto in circostanze eccezionali, presto li disconosce e se ne allontana per fare la propria strada[2]. Avremmo di Maria il ritratto appena abbozzato di una ragazza la cui vita resterebbe circoscritta all’evento straordinario di cui è stata, suo malgrado, protagonista. Non c’è un prima e non c’è un dopo. La si direbbe una donna mai nata, mancando ogni riferimento circa il luogo e l’anno della sua nascita (Nazareth, Betlemme o Gerusalemme, ipoteticamente intorno al 18-16 a.C.); un corpo o un ventre senza volto, mancando ogni pur minimo riferimento al suo aspetto fisico [3] e, infine, una donna mai morta, poiché a parte quell’ultima scena in cui la vediamo raccolta in preghiera insieme agli apostoli e ai discepoli del suo figlio defunto, nulla si dice di lei e del destino che avrà dopo quel tragico Consummatum est pronunciato da Cristo sulla croce.
Non dunque la nitidezza e l’eloquenza dell’Annunciata di Palermo, dipinta da Antonello da Messina, con quel volto che esprime la compiutezza di un’identità ben definita, bensì la “Statua principiata per un Cristo et un’altra figura di sopra, attaccate insieme, sbozzate e non finite” quale è la Pietà Rondanini in cui Michelangelo si arrovellò negli ultimi istanti della sua vita.
Michelangelo – Pietà Rondanini
Ispirandoci a questi due capolavori e facendo ricorso all’allegoria, potremmo tentare di definire Maria, prendendo in prestito dalla prima di queste due opere il libro poggiato sul leggio, le cui pagine come mosse da un soffio di vento lasciano scorgere una frase che alcuni studiosi ritengono sia l’incipit del Magnificat. Magnificat è la prima parola del cantico che Maria sciolse incontrando la cugina Elisabetta, una delle pochissime parole che i vangeli le concedono di pronunciare. Non conosciamo il contenuto delle altre pagine di questo libro posto dall’artista davanti a Maria (probabilmente uno dei libri sacri del popolo ebraico), ma ci piace vedere in quella sola parola che riusciamo a leggervi l’incipit di un libro tutto da scrivere, come di fatto accadrà e continua ad accadere da duemila anni a questa parte. Dalla seconda opera ci piace trarre quei due corpi (Cristo e Maria) fusi in un tutt’uno inscindibile, appena abbozzato e perciò carico di un potenziale in divenire, in cui c’è ancora materia a sufficienza da plasmare, in cui è possibile conferire ai soggetti infinite sembianze e personalità, e dove non si esauriscono i messaggi, le interpretazioni e i significati che ciascuno vuol trovare.
A giudicare dalle scarne e contraddittorie notizie riportate, la Maria dei vangeli (quelli canonicamente riconosciuti) altro non è che lo schizzo di una figura appena tratteggiata, l’accenno di un personaggio necessario affinché si realizzi un destino che ha dello straordinario. Lo spazio che occupa nelle scritture appare inversamente proporzionale al grande ruolo che è chiamata a svolgere. Sembra addirittura di leggere una certa reticenza a parlare di lei negli autori di quei libri grazie ai quali il suo nome è passato alla storia [4] Eppure, la forza e l’efficacia della sua figura risiedono forse proprio in quella sua indeterminatezza, in quell’apparente inconsistenza, in quella presenza-assenza che ci permette appena di scorgerla. I pochi accenni che i quattro vangeli fanno a lei, costituiranno solo l’incipit di una sterminata mole di libri che su di lei saranno scritti da autori d’ogni tempo e d’ogni ambiente. Al pari, artisti d’ogni tempo e luogo daranno a quel suo ventre privilegiato un corpo e infiniti sembianti; conferiranno un carattere e una personalità cangianti di epoca in epoca, fornendo di volta in volta immagini capaci di esprimere attraverso di lei ogni umana condizione, ogni più recondito sentimento, la somma bellezza quale è possibile contemplarla in una creatura che si colloca tra l’umano e il divino.
Maria, quindi, come formidabile opera letteraria e artistica, che da oltre duemila anni tiene in perenne gestazione il genio e l’inventiva dell’uomo, credente e non. Donna e madre su un livello superiore, la sua figura incarna tutti gli attributi della femminilità e ogni possibile virtù; al pari di uno specchio si presta ad accogliere e restituire ogni auto-identificazione, tanto da rappresentare un territorio sterminato di idealizzazioni, una sorta di zona franca in cui ciascuno può elaborarne una propria immagine. Maria, dal canto suo, tutto accoglie e serba nel suo cuore di madre. Quanto vi è di prodigioso nelle vicende della sua vita, impallidisce di fronte a quanto si realizzerà intorno alla sua figura; un fenomeno che la colloca tra i personaggi più complessi mai concepiti dalla mente umana, e certamente una delle figure più straordinarie e fortunate mai create da una religione.Ragazza ebrea appena adolescente e già promessa sposa di un uomo a quanto pare molto più vecchio di lei, Maria, fecondata non da uomo ma dallo Spirito Santo, darà alla luce un figlio conservando intatta la sua verginità; quel figlio portato in grembo per nove mesi e partorito presso un’umile stalla sarà il Re dei re [5]. Per mezzo di tale singolare evento, pur essendo una comune creatura, diviene la prescelta da Dio quale sua sposa e madre a un tempo. Ci troviamo qui davanti a uno dei concetti teologici più complessi e controversi mai elaborati, che pone Maria in una triplice unione con Dio, poiché questo Dio che sceglie il suo ventre per farsi uomo tra gli uomini, è a sua volta costituito da tre distinte persone (Padre, Figlio, Spirito). In relazione a questa triplice divinità, forse un po’ troppo semplicisticamente, potremmo definirla figlia del Padre che l’ha creata, sposa dello Spirito che l’ha fecondata, e madre del Figlio che mette al mondo; se non fosse che queste tre personificazioni, pur distintamente evocate, sono per ìpostasi consustanziali l’una all’altra, e perciò da intendersi come entità unica e disgiungibile. Dunque Maria è per mezzo di Gesù figlia, sposa e, soprattutto, madre di Dio medesimo. È questa privilegiata maternità a porla al di sopra di ogni altra donna vissuta prima e dopo di lei; al di sopra di tutti gli angeli e i santi. Più difficile stabilire quanto invece la sua figura sia posta al di sotto di Dio stesso, a giudicare dagli atti esteriori presso certe chiese cristiane (quella cattolica in particolare). Ci addentriamo qui nel variegato mondo della pietà popolare in primis, e in quel prolifico territorio della teologia che del primo tanto spesso si nutre. Dai dotti teologi della Chiesa, Maria è stata investita a posteriori di ben quattro dogmi che la rendono,
rispettivamente: “Madre di Dio” (Concilio di Efeso, 431), “Vergine perpetua”, ossia prima, durante e dopo il parto (Concilio di Costantinopoli II, 553), “Immacolata Concezione”, ossia immune dal peccato originale (proclamato da papa Pio IX, 1854) e infine “Assunta in cielo” in anima e corpo, ovvero mai morta (proclamato da papa Pio XII, 1950). Iniziative ecclesiastiche, queste, che segnano un radicale distacco da quelle che sono le vere e proprie fonti bibliche a lei riferite, dalle quali non è dato ricavare nessun elemento che possa in qualche modo suffragare tali attributi. Piuttosto che mostrarci Maria, quale ella fu, questi dogmi riflettono in primo luogo un mai sopito “folklore su e attorno a Maria” fiorito fin dai primi tempi del cristianesimo presso i ceti più umili e spesso incolti dei fedeli, che per primi vollero attribuirle questi privilegi, e che procede tutt’oggi muovendo dall’afflato di sentimenti e di pietà, di idealizzazioni e di desiderio d’identificazione che porta alla costruzione di figure mitiche, straordinarie, sovrumane, quale è diventata appunto la Madonna. Questi dogmi testimoniano anche di un inesauribile “discorso su Maria” che lascia il campo a tutte le possibili speculazioni teologiche che se ne voglia fare, in un continuo germogliare di nuove e pur sempre calzanti attribuzioni.A questi proclami che in quanto dogmi non ammettono replica, si aggiungano le oltre trenta celebrazioni mariane all’anno, le tante preghiere, invocazioni, orazioni; le ben centocinquanta avemarie del rosario (di recente salite a duecento con l’aggiunta di nuovi “Misteri”), e ancora le Litanie lauretane, le antifone, i canti; impossibile enumerare le varie forme devozionali di cui è fatta oggetto, i tanti titoli con cui è venerata, le chiese, i santuari e i tantissimi luoghi a lei intitolati; ovunque vi sono paesi, città, regioni, intere nazioni poste sotto il suo patrocinio; e non si contano neppure gli ordini religiosi, le associazioni, anche laiche, che portano il suo nome. Come archetipo femminile e materno, in lei e intorno a lei c’è sì, anche e soprattutto, un cospicuo deposito di ataviche tradizioni della religiosità pagana legate al culto della Grande Madre; e per molti aspetti, nelle prerogative così come nell’iconografia, conserva ancora evidenti i tratti ben riconoscibili delle antiche divinità
femminili che l’hanno preceduta. In questa caleidoscopica figura tutto trova la sua collocazione e la sua giustificazione, poiché per Maria non si è mai fatto abbastanza. “Una madre d’amore voluta dal popolo” (come la definisce Augias nel suo recente Inchiesta su Maria), in cui tutte le attese, le aspirazioni, e i desideri d’ogni uomo trovano risposta. Una madre d’amore che a fasi alterne torna come “ambasciatrice di pace” sulla terra, piangendo attraverso i gessi che la raffigurano, apparendo in luoghi sperduti a individui semianalfabeti, lì dove saranno eretti ancora altri templi in suo onore. Un’eroina che ha talvolta i tratti da Superstar, e che ha al suo servizio nutrite schiere di fan e di sponsor tra le file del mondo dello spettacolo e della televisione. Per quella enorme acquisizione di titoli, attributi, valenze simboliche; per quel saldo connubio che da secoli vige tra la devozione popolare dei semplici e la dotta elaborazione dei teologi, Maria è diventata nel tempo una delle figure più note, celebrate e intoccabili della storia delle religioni.In definitiva, una donna che, perso ogni tratto della sua concreta umanità, diviene figura eterea, celeste, divinità essa stessa, assisa quasi persino al rango del suo Creatore. Ecco allora che quei due corpi uniti e disgiungibili della Pietà Rondanini cui facevamo riferimento all’inizio di questa trattazione, diventano la raffigurazione, diremmo meglio il simbolo, di due figure, Gesù e Maria, ormai completamente fuse l’una all’altra; compenetrate, fagocitate dalla stessa materia umana e divina, folklorica e teologica, concreta e fantasiosa di cui son fatte. Negli scritti evangelici, come nella scultura michelangiolesca presa come spunto, c’è l’incipit, l’abbozzo appena accennato; c’è sempre nuova materia da plasmare e spazio per ogni ripensamento.
Giuseppe Maggiore
NOTE
1) La storia di Gesù di Nazareth è riassumibile in quegli ultimi tre anni di vita in cui svolse il suo ministero pubblico e che si conclusero con la condanna a morte per mezzo della crocifissione, sotto il prefetto romano Ponzio Pilato. Dei trent’anni di vita che precedettero gli straordinari eventi che caratterizzarono la sua predicazione e la sua morte, poco o nulla si sa. Le fonti testuali relative alla sua figura sono essenzialmente due: la più antica, costituita dalle lettere paoline, scritte da Paolo di Tarso tra il 51 e il 63 (autore che peraltro non conobbe personalmente Gesù), la quale fornisce pochi dati utili al fine di ricostruirne un profilo storico, e i quattro vangeli cosiddetti canonici, tradizionalmente attribuiti ai nomi, fittizi, di altrettanti autori (Matteo, Marco, Luca, Giovanni), che invece forniscono dettagli della vita pubblica di Gesù, ovvero dei suoi tre anni di ministero. Di questi testi, i primi tre, noti come sinottici, sono stati scritti nella seconda metà del I secolo, e l’ultimo tra la fine del I e l’inizio del II secolo, ovvero molto tempo dopo dei fatti cui si riferiscono. Più che una testimonianza diretta, ci troviamo di fronte a delle fonti che riportano notizie tramandate fino allora solo oralmente o attraverso degli appunti di autori ignoti. Pur trattandosi di uno dei personaggi più noti della storia, e nonostante sia vissuto in un tempo storico relativamente recente, la vita di Gesù di Nazaret, rimane per lo più avvolta nell’ignoto. Incerto l’anno della sua nascita (oggi convenzionalmente fissata tra il 7 e il 2 a. C.), incerto il luogo ove ebbe i natali (Betlemme o Nazaret), incerto, quindi, l’anno della sua morte avvenuta a Gerusalemme (il 26 o 36 d.C.). Davvero scarne, e talvolta contraddittorie, le notizie riferite alla sua nascita e alla sua famiglia, riportate dai primi tre vangeli e assenti del tutto nel quarto. Per avere maggiori notizie bisogna affidarsi ad altre fonti (quali i vangeli apocrifi, quelli gnostici, o quelli cosiddetti dell’infanzia e della passione), databili a partire dalla metà del II secolo, che però non godono di nessuna attendibilità presso gli studiosi, trattandosi di racconti dall’evidente ispirazione fantasiosa e leggendaria. Tuttavia, i moderni studi concordano nel dare credito alla reale esistenza di un Gesù storico, e ciò grazie anche a metodologie incrociate che hanno portato a trovare dei riscontri tra gli indizi rintracciabili in questi scritti e il rinvenimento, ad esempio, di reperti archeologici; qualche accenno a Cristo e alle prime comunità che si rifacevano ai suoi insegnamenti è inoltre rintracciabile in alcune fonti non cristiane di autori greci, romani e ebrei, risalenti in gran parte al II secolo.
2) Questo sembrano suggerire i vangeli. Questo sembra sottolineare a più riprese (in quelle pochissime circostanze in cui si ritrovano insieme), l’atteggiamento di estraneità con cui il figlio stesso, Gesù, le si rivolge, sia personalmente che pubblicamente (“Donna che vuoi tu da me?” “Che c’è tra me e te, o donna?”). Un atteggiamento di radicale distacco e estraneità che non lascia intravedere e che non ammette alle sue spalle nessun tenero quadretto familiare da “Sacra Famiglia”, e questo già da quando lui, appena adolescente, si lascia alle spalle i propri genitori per disquisire di sacre scritture con i saggi del tempio di Gerusalemme (“Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” Lc, 2:41-52). Un senso di estraneità e incomprensione che scopriamo d’altra parte reciproca, quando sorprendentemente leggiamo “Ma essi non compresero le sue parole”. (Ibidem).
3) La stessa figura di Gesù ci viene descritta attraverso gli atti che lui compie, senza minimamente accennare al suo aspetto, alla sua concreta fisicità, né tanto meno viene fatto per gli altri protagonisti delle vicende narrate.
4) Nel dettagliato racconto della passione di Cristo, nessuno dei quattro evangelisti mostra di avere verso di lei la dovuta considerazione; nulla è concesso di quanto legittimamente ci si potrebbe aspettare dal ruolo di una madre, e di una madre di siffatta statura. Ciò che conta, nei vangeli, è Cristo, l’adempimento della sua parola, il percorso che lo porta a immolarsi per la salvezza degli uomini. Maria appare piuttosto come un semplice strumento, un ventre preso in prestito da Dio affinché potesse plasmarvi il proprio corpo carnale.
5) Gesù di Nazaret è il Cristo, il Figlio di Dio, incarnatosi nel grembo di una donna per adempiere alla volontà del Padre. Come tale ci viene presentato dagli ignoti autori dei quattro vangeli. E qui il discorso si potrebbe concludere, giacché il dato è fissato una volta per tutte senza possibilità di smentita e senza nemmeno ammettere il vaglio della ragione. Ogni gesto a lui riferito, ogni sua parola riportata partono da questa fondamentale premessa, da questo assunto che dall’incipit all’epilogo permea ciascuno di questi vangeli. Attraverso un continuo rimando alle scritture del Vecchio Testamento, gli autori forniscono al lettore tutti gli elementi affinché il concetto sia chiaro fin dall’inizio; la vicenda di Gesù viene inserita nel solco di un’antica promessa e di una lunga attesa, innanzitutto del popolo ebraico e quindi universalmente estesa all’umanità intera. Non viene lasciata altra scelta che credere a quanto gli autori di questi scritti hanno stabilito a priori, sulla scorta dei sacri testi cui si rifanno. Anche là dove i racconti mostrano la comprensibile incredulità di certe figure attorno a quest’uomo di nome Gesù, il lettore è portato dagli abili estensori di questi testi a non contemplare mai la possibilità di un dubbio circa il fatto che egli sia realmente il Cristo salvatore del mondo.
Cover Amedit n° 17 – Dicembre 2013. “Ephebus dolorosus” by Iano
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 17 – Dicembre 2013
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