Caso clinico da me presentato ad un recente Convegno. Marica (nome di fantasia) è una donna di ventisei anni, da circa un anno ha partorito il suo primo bambino. Non si è sposata e il suo convivente non sempre può permettere alla famiglia un costante sostentamento in quanto è un lavoratore precario. Marica vuole bene al suo uomo e a suo figlio ma dice di sentire dentro di “mancarle qualcosa” che non sa individuare con precisione.
In passato, riferisce di aver avuto molti uomini e, spesso, ha avuto difficoltà a stabilire un legame affettivo significativo. La sua promiscuità adolescenziale e giovanile nella sessualità fu vissuta da lei come richiesta di protezione e amore che nella storia della sua vita Marica non aveva ricevuto. Ricorda il padre come un “relitto della società”, sempre ubriaco e carico di rabbia verso la madre che invece, in modo responsabile e attivo, si prendeva cura della famiglia ma che mai Marica ha avvicinato in modo emotivamente forte.
Primo periodo.
Ella accede titubante ai colloqui, controllata e timorosa, presenta un atteggiamento iper-razionalizzante nei confronti dei suoi stati affettivi; confessa di aver paura, una strana sensazione che le impedisce di stare seduta in maniera rilassata, ha difficoltà a stabilire un’alleanza terapeutica. Capisco che Marica ha bisogno di un terapeuta che sappia ascoltare in profondità le sue sofferenze che peraltro esprime con difficoltà e in modo frammentario, presenta inoltre, specie inizialmente, una difficoltà a relazionarsi con il suo mondo interiore e accedere al contatto con le sue emozioni che esprime con difficoltà solo se sollecitata. Accanto, però, a queste caratteristiche che fanno riferimento a ciò che la psicologia e la psichiatria descrivono con il termine di alessitimia, nel complesso Marica è una persona ricca emotivamente, diffidente e timorosa, entusiasta quando riesce a trovare qualche elemento per fare chiarezza e portare luce nel suo buio.
Da circa sei mesi ella soffre di un disturbo da attacchi di panico e ansia anticipatoria. Durante le sedute iniziali sollecito la paziente a riferire nei particolari le sue “crisi” al fine di pervenire insieme ad una elaborazione del suo dolore. Riesce, dopo vari colloqui, a riferire con molta fatica il suo terrore, la paura di impazzire, andare in frantumi e morire. Riesce finalmente a parlarmi, entrandoci dentro in maniera profonda, su quello che prova durante gli attacchi di panico. Capisco che è un passo importante per la sua terapia fondamentalmente per un duplice motivo: per essere riuscita ad accedere in profondità nella sua vita emotiva e per avere concesso a se stessa la fiducia di aprirsi e ad affidarsi al suo terapeuta.
Marica riesce ben presto, dopo queste sedute, ad essere maggiormente coinvolta; numerosi sono gli elementi che riporta durante questa fase della psicoterapia che per comodità chiamerò fase del secondo periodo.
Secondo Periodo.
Riesce a parlare di lei, dei suoi convincimenti, del suo futuro, dell’amore, profondo, che prova verso suo figlio. La ascolto sempre in modo empatico e partecipativo, parlo poco, le faccio da specchio e meno parlo e più si apre.
Durante una seduta di questo secondo periodo noto che la respirazione di Marica, mentre riferisce fatti importanti che la coinvolgono emotivamente, subisce modificazioni sostanziali. Diventa superficiale e poco profonda quando la sua coscienza contatta il dolore emotivo. In accordo con l’orientamento psicocorporeo reichiano e analitico bioenergetico di Alexander Lowen, quello che Marica mette in atto in modo inconsapevole è inquadrabile in una reazione di difesa che il suo corpo comunica. Allo scopo di allontanarsi dalla spiacevolezza e dal senso di disagio interiore – ai quali i contenuti emersi la espongono – il respiro di Marica si blocca. Durante questo periodo lavoriamo a lungo su questo suo atteggiamento, la terapia va avanti e lei appare motivata per un approfondimento.
All’inizio riusciamo con difficoltà a trovare collegamenti significativi poi, lentamente, arriviamo al nocciolo. Nel riferire una sua esperienza infantile di separazione – ricorda di aver vissuto con una forte sensazione di abbandono il fatto di essere portata e lasciata a scuola elementare nonostante diventasse paonazza per il pianto e la paura – nel riportare questa esperienza il suo respiro subì un’alterazione, resa consapevole di ciò inizia un cammino in profondità che ella stessa, poi, denominerà
“operazione di archeologia psicologica”.
Fra i suoi ricordi infantili troverà, in questo periodo, quello della “piccola Marica” che avrebbe voluto piangere quando sentiva il bisogno ma questo non le era consentito perché a casa sia il papà che la mamma non volevano. Ricorda i singulti e la respirazione che si faceva più difficile allo scopo di reprimere il pianto, riferisce di aver avuto da bambina ricorrenti crisi di asma e che la situazione familiare era vissuta con un senso di paura. Non poteva ribellarsi e in più non poteva farlo attraverso il pianto che represso le provocava, dice, violente difficoltà respiratorie. Da allora, confessa, non avrebbe più pianto ed aveva l’età di 6/7 anni. Ora Marica adulta vorrebbe lasciarsi andare al pianto e piangere “fiumi di lacrime”, riferisce, ma questo non le riesce ed aumenta il suo senso di insoddisfazione e di impotenza.
Attraverso l’applicazione di alcune metodiche psicocorporee, Marica riesce ad aprirsi al pianto e la sua respirazione diventa più completa. Una relazione significativa tra attacchi di panico e respirazione è stata anche di recente sottolineata dal Prof. Battaglia dell’Ospedale San Raffaele di Milano. All’inizio ella non riesce a legare il pianto all’esperienza reale, ne è spaventata e chiede il perché. Il suo corpo comunica l’emozione del pianto che lei non riesce però a sentire e a decifrare. Le viene detto che è il suo inconscio, il suo lato oscuro, che sta venendo fuori e che piano piano cercheremo di ascoltare.
Terzo Periodo.
Inizia a questo punto un altro periodo della terapia caratterizzato da frequenti emissioni di pianto che presto Marica legherà agli accadimenti della sua vita. Inoltre ella sta imparando ad eliminare lo stato di subventilazione causato da quelle tensioni interne che la scuola bioenergetica definisce come “corazza psicosomatica”. La fiducia nel lavoro su di sé che sta facendo aumenta, è più aperta e coinvolta, le sue crisi di panico sono da tempo un vecchio ricordo speciale, dice speciale perché ella sente che ne può parlare avvertendo dentro di sé con forza che non le fanno più paura come invece accadeva un tempo.
Con l’apertura al pianto Marica appare più arricchita e maggiormente consapevole di vivere la sua vita emozionale in modo più accettante e partecipato. Ora può riferire e parlare di sé senza provare il senso di costrizione e senza significative variazioni brusche della sua respirazione ogni volta che affronta contenuti emozionali forti, è capace inoltre di dare ascolto ai suoi sentimenti, sa riconoscerli ed esprimerli.
Dice di lei, verso le ultime sedute,
“di essersi concessa il lusso di scendere i gradini della sua coscienza, di avere lì trovato delle cose che poi si sono rivelate elementi significativi che messi insieme e unificati hanno portato una luce nuova”
dentro di lei e la vista di figure più chiare. Scherzando paragona il lavoro che ha effettuato su di sé a quello dell’archeologo-speleologo che scendendo sempre più in profondità ha avuto la possibilità di trovare i pezzi che poi egli stesso ha unificato e messo insieme arrivando a dare senso, significato e nome al materiale rinvenuto.
Ad un incontro di controllo, dopo tre mesi dall’ultima seduta, apprendo con soddisfazione che sta bene.
Dopo sei mesi mi chiama al telefono per farmi gli auguri di Natale.
Marica è stata sottoposta ad una forma di psicoterapia denominata “a doppio binario”, essa è consistita in una terapia di rafforzamento dell’Io tendente a far apprendere il controllo delle proprie dinamiche interne, da una parte e in una terapia del profondo dall’altra, allo scopo di approfondire la conoscenza di sé e raggiungere un cambiamento nella gestione delle dinamiche che hanno portato la paziente alla formazione dei processi di panico.
(Il caso clinico presentato ha subito modifiche allo scopo di rendere non riconoscibile la persona, alcuni fatti sono stati modificati senza alterare il significato della storia. La persona ha fornito l’autorizzazione).
Alfredo Ferrajoli
Gestire Risorse Umane - Le Persone che fanno la Differenza