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Marilù Oliva intervista Valerio Evangelisti: in uscita il romanzo Il sole dell’Avvenire

Creato il 02 dicembre 2013 da Vfabris @FabrizioLorusso

valerio evangelistiATTIVITÀ: scrittore
SEGNI PARTICOLARI: gran fumatore, buon bevitore
LO TROVATE: 
su Carmilla

(Intervista ripresa dal blog Libro Guerriero)

Cosa rispondevi da piccolo quando ti chiedevano che lavoro volevi fare da grande?

Il marinaio, perché ho sempre molto amato il mare. Volevo fare il mozzo, il ragazzo di servizio sulle navi. Poi ho scoperto quello che ho raccontato nei miei libri sui pirati, cioè che i mozzi avevano un destino abbastanza triste: erano oggetto sessuale dei marinai che stavano lontani mesi e mesi da casa. Passato il periodo dei mozzi, volevo entrare nella Legione Straniera francese. Ma non avevo ancora letto in un libro che lessi poi – Paolo Zappa, “La Legione Straniera” – in cui si spiega che ai giovani legionari succedeva lo stesso che ai mozzi. Comunque i miei ideali avevano a che fare con il mare.

L’amore per il mare è rimasto?

Mi è rimasto tantissimo, consistente non tanto nello stare nell’acqua quanto nello stare vicino al mare. L’ideale per me è oziare seduto in un baretto sul bordo della spiaggia, a bere birra al caldo e a mangiare pesce fritto. È il mio sogno

Quando ti chiedono che lavoro fai, cosa rispondi?

Lo scrittore. E tutti dicono: ma il lavoro vero qual è? L’ipotesi diffusa è che fare lo scrittore sia equivalente a non lavorare. Se lo si fa come lo faccio io, invece, bisogna darsi notevoli ritmi di lavoro. I miei tempi lavorativi sono serrati.

Mediamente quanto lavori, ogni giorno?

Scrivo minimo due pagine tutti i giorni. In realtà gran parte del tempo è presa, più che dallo scrivere, dalle ricerche. Anche nei miei romanzi fantastici c’è uno sfondo storico che cerco di rendere il più preciso possibile, quindi ho bisogno di leggere molto. Internet ha reso la vita più facile, certo, poi cerco di informarmi sulla realtà attuale, che ha sempre un nesso con quello che scrivo, e dunque leggo giornali on line e vivo in simbiosi con il computer. Complessivamente il tempo lavorativo sarà di 7-8 ore al giorno, suddivise in una tranche pomeridiana e in una tranche notturna, il che significa arrivare fino alle 6-7 di mattina.

Cosa significa intellettuale?

Quando si dice intellettuale, o la qualifica viene presa come una parolaccia, o come una specie di santificazione, quasi fosse una categoria superiore. Io sono abituato a ritenere che esista un intelletto collettivo di cui sono parte: in questo senso sono un intellettuale. Non faccio lavori manuali: sono intellettuale anche in questo senso. Ma non mi riconosco in una categoria. Buona parte dei letterati considerati “seri” si mette a ridere se qualcuno mi qualifica come un intellettuale: di solito sono ritenuto uno scrittore popolare di fantascienza, di intrattenimento. Di tutto questo non mi importa nulla, a me importa trovare persone che abbiano il mio stesso pensiero e quando le trovo le arruolo su Carmilla, nata a questo scopo. All’inizio c’erano un muratore, un orologiaio, gente difficilmente considerabile “intellettuale”, però facevano parte dell’intelletto collettivo di cui sopra, avevano punti di vista critici sulla realtà e intendevano parlarne: per me questi erano interlocutori alla pari degli intellettuali riconosciuti.

Non hai la sensazione che ci sia una sorta di disimpegno diffuso nella sfera degli intellettuali, la tendenza a coltivare il proprio fazzolettino e disinteressarsi di quello che succede intorno?

Gli intellettuali mainstream sono quelli a cui bisogna fare meno riferimento per descrivere la società odierna, nel senso che stanno teorizzando il disimpegno più totale, quando non il qualunquismo.  Nei casi peggiori, l’impegno consiste nel carezzare i potenti. Ricordo la scena penosissima di uno scrittore noto che, in un dialogo con Veltroni, quasi si prosternava davanti a lui. L’ha poi fatto anche con Renzi.

Vedo un grande distacco dal reale e un grande qualunquismo. Ci sono eccezioni, certo. A me piacciono quelli che fanno discorsi forti, il che non vuol dire che io sia un fanatico. Sono da una vita un 

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estremista di sinistra, un libertario, ma nessuno mi troverebbe fanatico, perché in realtà discuto con tutti. Mi piace chi ha idee precise. Godo molto quando sento parlare Mauro Corona, a volte dice stronzate incredibili, ma le dice con spontaneità. Ad esempio gli viene chiesto «Lei come vorrebbe morire?» e l’intervistatore si aspetta chissà quale risposta raffinata, mentre lui risponde «Voglio morire in una grotta con una cassa di vino e poi mi lasciate lì». Io non andrei in una grotta, perché odio il buio: andrei in riva al mare con una cassa di vino.

Secondo te questo particolarismo, questo qualunquismo è un male della nostra epoca?

È un fenomemo mondiale, nasce dalla “fine della storia” teorizzata da Francis Fukuyama. Avremmo raggiunto uno stato di cose che non potrà mai più essere modificato. Da questo momento il futuro è il presente. Io sono stato lettore e scrittore di fantascienza e non mi rassegno a questa mancanza di alternative.  Ho vissuto in anni difficili, in cui però l’utopia era all’ordine del giorno. Alcune utopie si sono affermate. Se parlassi di tutte le conquiste degli anni della mia gioventù, su temi che oggi sembrerebbero impossibili, nessuno capirebbe cosa voleva dire – alla fine degli anni ‘60-‘70 – la nascita di un movimento come il femminismo. Non ha vinto la sua battaglia, però oggi chi contravviene a certi suoi postulati chiede scusa. I diritti dei detenuti, oggi calpestati più che mai, una volta furono affermati e certe cose sono rimaste. A quei tempi un soldato era uno straccio in caserma e noi gli facemmo ottenere uno statuto, spingendo i soldati alla lotta. Quando si smette di guardare a un futuro diverso non si conquista più niente, perché se chiedi l’oggi ti danno l’oggi e se chiedi il futuro ti danno parte dell’oggi. Il futuro è tuo se hai l’idea che ci sia, un futuro. Appiattirsi sul presente porta a una sconfitta dietro l’altra.

Io resto un cultore di qualche forma di utopia. In tutto il mondo si rinuncia all’utopia e l’intellettuale, in questo, potrebbe avere suo ruolo. Ad esempio, non sono un gran lettore di Erri de Luca, ma ammiro il suo prendere posizione senza nessuna paura. Bisogna portare avanti dei sogni e continuare a sognare.

Cosa è il male?

È tutto quello che non preserva la vita. Lo collego con la morte. Il 

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bene è tutto quello che preserva, il male quello che sopprime.

Due pregi e due difetti.

Difetti: sono scorbutico e asociale. Sono aggressivo, e questo è legato all’asocialità. Ho amplificato tutto questo aspetto della mia anima nel personaggio Eymerich, che rappresenta il peggio di me.

Pregi: credo essere quello che sembro, non ho due-tre nature diverse. Penso di essere discretamente generoso.

Prendi Eymerich, dividilo per dieci e ci trovi me.

L’ultimo dubbio

Mi interrogo su molte cose. Sul mio comportamento, se ho sbagliato o fatto bene. I miei dubbi riguardano universi interi. Credo in una cosa al 70 per cento, mai al cento per cento. Le mie idee  politiche sono al 70 per cento. Le mie idee sul mio modo di vivere sono al 60 per cento. La mia vita è tutta un dubbio.

Una certezza.

Morire, però il dubbio è… quando?

L’ultima volta che ti sei arrabbiato.

Mi arrabbio se dicono su di me falsità o mi interpretano male. Per esempio, c’è chi trova questo mio starmene isolato come un sintomo di ambizione sfrenata, di superiorità, mentre invece sono fatto cosi. Oppure mi arrabbio quando qualcuno pretende di giudicarmi senza nemmeno sapere chi sono

Per esempio un critico stimato, Andrea Cortellessa, scrisse che contro gli scrittori come me bisogna salire in montagna come i partigiani, senza accorgersi mi stava dando del fascista. Costui l’ho odiato: giudicare un mio libro senza nemmeno averlo letto… quello fu un caso di arrabbiatura forte.

Da domattina sarà in libreria “Il sole dell’avvenire” (Mondadori Strade Blu, 530 pp., € 20,00). Il sottotitolo è “Vivere lavorando o morire combattendo”. Ti chiedo un secondo sottotitolo al libro.

I socialisti più antitetici a quelli che conosciamo.

Questo romanzo narra le vicende di alcune famiglie di braccianti e contadini romagnoli, dall’epoca post-risorgimentale alle soglie del 1900. Fa parte di un progetto più ampio, vero? 

Sì, ho in mente tre volumi autonomi l’uno dall’altro, destinati a coprire il periodo 1875-1900 (questo che esce), 1900-1925 (il prossimo), 1925-1950 (l’ultimo). Il tutto filtrato attraverso le vicende personali di famiglie di operai agricoli e mezzadri emiliano-romagnoli. Prima di continuare voglio però vedere come sarà accolto il volume iniziale. E’ una fatica notevole, voglio controllare che ne valga la pena.

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La scelta dei protagonisti e l’attenzione per il risvolto sociale va di pari passo con la storia promossa da Marc Bloch, Lucien Fevbre e dagli storici degli Annales: quella non costruita da re e potentati, ma quella attenta ai processi storici e al raggiungimento di “un lavoro comune con le scienze sociali, dalla geografia alla statistica, dall’economia politica alla psicologia e alla sociologia”, anche alla luce dell’importanza del fattore economico analizzato centralmente, per la prima volta, dalla storiografia marxista. Condividi l’impostazione di quella scuola?

Sì, ma non le sue esagerazioni. Spesso, gli storici che si ispirano agli Annales hanno finito per ignorare quasi del tutto il contesto politico. Invece economia, società e politica sono tutt’uno. Confesso che mi interessa poco una “Storia delle mutande nei secoli”. Non è un titolo inventato, è un saggio di un “annalista” estremo.

Alcuni personaggi sono realmente esistiti. Ci parli di uno di essi?

Potrei citare Gaetano Zirardini. Pittore ravennate, leader del socialismo romagnolo, braccio destro di Andrea Costa. Pur camminando perfettamente bene, girava con un bastone da passeggio. Se ne serviva per menare botte agli avversari politici. Ai primi del ‘900 diventò segretario della Camera del Lavoro di Ferrara, che resse anche nel periodo dello squadrismo. Sotto la sua guida fu firmato il “patto Zirardini”, uno dei più favorevoli ottenuti dai lavoratori dei campi nella storia d’Italia. Cercarono più volte di ucciderlo, lo picchiarono. Persa la partita, morì povero quale era sempre stato.

E ora ci parli di un personaggio totalmente inventato?

Si chiama Canzio Verardi, domina l’ultima parte de “Il Sole dell’Avvenire” (primo volume). Ragazzo taciturno, ribelle per indole e per traumi familiari, socialista per istinto, poco interessato all’ideologia. L’ho amato molto, spero che anche i lettori lo apprezzino.

Ma il sole dell’avvenire… sorgerà?

Mi verrebbe da rispondere con un “no” secco. Però non voglio apparire pessimista. Potrebbe ancora sorgere. Certo non sarà quello in cui speravano i protagonisti del romanzo.

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