ROMA – Si chiama “Moderne icone di moda” il saggio in cui vengono rappresentate sette “fashion mass incons” del Novecento individuate dall’autrice Federica Muzzarelli, docente di Fotografia dell’Università di Bologna, e che sembrano aver dato il via al ciclo dei miti della moda nell’immaginario popolare.
A cominciare da Cleo de Merode, la nobile ballerina francese che verso la fine dell’Ottocento, scrive l’autrice, “sperimentò per prima cosa vuol dire essere lo stereotipo visivo popolare di massa imprigionato in un cliché da riprodurre come merce”. “Un fenomeno generato dalla diffusione della fotografia”, artefice, scrive Muzzarelli, “dell’imposizione visiva nella moda (atteggiamento, stile, dettaglio vestimentario), strumento privilegiato del processo di massificazione”.
“La diffusione di massa è assicurata dai grandi moltiplicatori del mondo moderno. La star-merce non si usura né deperisce una volta consumata: la moltiplicazione delle sue immagini, lungi dall’alterarla, né aumenta il valore e la rende più desiderabile”. Cleo de Merode era bella e fotogenica e amava far riprodurre la sua immagine anche sulle cartoline. Nel decennio più esplosivo in termini di costruzione del mito delle star, gli anni Trenta, tramite la fotografia delle dive del cinema, s’impongono alcune tipologie di donne che hanno fatto la storia: “la femme fatale”, con Theda Bara, “la misteriosa”, con Louise Brooks e la sua frangia, “l’ingenua”, con Mary Pickford.
Veri fenomeni di moda sono stati Greta Garbo, Marlene Dietrich, Marilyn Monroe, Grace Kelly, Audrey Hepburn e Brigitte Bardot. E’ il dettaglio fisico o di stile il segno di riconoscimento dell’icona. “La storia del divismo – scrive l’autrice – conosce bene il meccanismo di individuazione e iterazione di un particolare fisico o vestimentario così da diventare feticcio visivo e identitario di una star: è stato così per le spalline di Gloria Swanson, per il look androgino di Marlene Dietrich, per le cloche, il basco e i capelli da paggio di Greta Garbo…”.
Tra le sette icone dell’autrice: Charles Baudelaire, interprete del dandismo, vestiva sempre di nero e si faceva ritrarre dal suo amico Nadar indossando tragiche maschere; Vaslav Nijinsky, angelo volante dei Balletti Russi immortalato in tuta da fauno, un condensato erotico ed esotico; il post-colonialismo di Nancy Cunard, scrittrice ribelle fotografata da Man Ray con bracciali feticcio che le ricoprono le braccia magre; la fotografa Annemarie Schwarzenbach e il suo look androgino; il conformismo di D’Annunzio che creava abiti per le sue amanti, ma vestiva come le élite a cui voleva appartenere.
“… dagli anni Sessanta in poi il serbatoio del divismo di moda alloggia tra le modelle: Twiggy e Penelope Tree, interpreti della Swinging London e delle minigonne di Mary Quant, oggi soprattutto Kate Moss, inossidabile mito delle passerelle, da quando alla ribalta dagli anni Novanta, impose lo stile heroin-chic. Ma se per gran parte del Novecento cinema e moda sono stati grandi serbatoi di miti, di culti di star, è sempre più dalla musica e dalla televisione che oggi arrivano le ultime grandi fashion icons“. Vedi “il trasformismo di Madonna aiutata agli inizi dalle invenzione della stylist Maripol e poi consacrata grazie al corpetto di Jean Paul Gaultier”.
E poi, “Grace Jones con il suo look animalesco costruito assieme al geniale Jean Paul Goude; Amy Winehouse il cui trucco pesante e la pettinatura alta diventano spunto di una sfilata di Karl Lagerfeld per Chanel. Infine le nuove icone Sarah Jessica Parker di “Sex and the city” e Lady Gaga, fenomeno trasversale e postmoderno, vero contenitore ipercitazionista, kitsch e postpop dell’attraversamento totale di ogni limite e di ogni barriera culturale, così potente da ispirare nel 2009, con uno dei suoi travestimenti, la collezione di Victoria’s Secret”.