Dopo il solstizio l'aria diventa un cominciamento o una promessa, si fa succhiosa, una pesca che cresce dal nocciolo e dal legno la buccia diventa sottile e rimpolpa una carne di sugo d'acqua di nuovi motivi d'appetito: l'odore fresco le foglie la polvere il polline. È tutto questo e tutto insieme, ma qui con noi c'è anche il sale e la luce del primo mare.
Ci piace pensare che Marina di Pisa sia così per sempre: le strade spaziose, le facce delle case a stucco e pastello, i gatti alle finestre.
E lungo il litorale i bar le pizzerie la spianata di scogli i tavoli di plastica e in fondo a tutto la mole delle gru che sollevano un'arena di sabbia marrone o più confusamente quantità di materia che non si sa cosa sia non si sa dove finisca: in solitudine irrimediabile, si capisce, in mezzo, una villa scheletrita poche palme legate per il ciuffo da qualche giardiniere preciso e violento, e una nuvola di gabbiani.
Ho portato il pane per te il formaggio per me il sesamo, un tehrmos d'alluminio di thé una sacca di tela nera piena di spazio vuoto e dentro può starci tutto. Fuori il mare, la temperatura è così dolce che anche se siamo in gennaio posso immergere i piedi e sotto i minuzzoli mi feriscono le dita e mi piace, il sangue è subito un'acqua che brucia e diventa rosso poi viola trasparente e poi il nulla, salato, sulla linea dell'ovest. I tagli qui bruciano e rimarginano e non ci sono resti a parte una crosta bianca secca che arriva forse dalle coste della Spagna, dalla Sardegna, o come soffio nordafricano. Affondi anche tu. Dopo che ci siamo tagliati, dopo che sono entrata posso lasciare la sacca sugli scogli e far scivolare in alto la gonna anzi toglierla proprio. Può stare nella sacca che ha la bocca nera e tanto spazio vuoto, l'acqua è trasparente e fa tutto trasparente, si capisce, sì, adesso, che sono una creatura terrestre, si capisce dal pelo e la bocca aperta succhiosa che adesso brucia se faccio pipì.
La stazione elettrica ha una targa cancellata. Dalla porta verde le colonne affiancano e salgono, fino ai pini, c'è una torre quadrata e sulla torre come pennacchio un filo di panni appesi. La targa dice quel che era, ma adesso la stazione elettrica è una casa e una torre affacciata sul mare. L'erba è cresciuta sui binari sugli scambi, la banchina è un sentiero dove ci sono pigne, quando è stagione pinoli e, sempre, merda di cane. Fa piacere sbucciarsi i talloni sugli stecchi, prenderti per mano e sentirti il sapore delle dita e del sale.
Vorrei morire qui. Alla maniera dell'acqua che si congiunge all'invisibile del mondo. Senza liquami senza singulti cambiare di stato e farsi anzi farmi da confinato molle carnoso a semplicemente assente, al succhio di una pelle cotta dal mare.
Tu guardi e senza sospetto mi baci sulla bocca.
Ci piace pensare che Marina di Pisa sia così per sempre:
le strade spaziose, le facce delle case a stucco e pastello, i gatti alle finestre.
Dalla porta verde le colonne affiancano e salgono, fino ai pini, c'è una torre quadrata
e sulla torre come pennacchio un filo di panni appesi.