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“È stato quello l'inizio di tutto. Quello stupido pensiero. Io non conto, non ci posso fare niente[…].
Stupida prima ancora che cattiva. La cattiveria è venuta dopo”.(1)
La madre la chiamava “Biancaneve”, per via della carnagione chiara e dei capelli scuri (che, fatti crescere a dovere, avrebbero dovuto renderla bellissima), ma il mondo dell'anonima professoressa che fa da protagonista e narratrice del romanzo -una donna pronta a ridivenire uno “scricciolo senza forme”(2), al primo sguardo cattivo del “suo” uomo-, è tutt'altro che fiabesco: sì, perché, nella vita, la timida “Biancaneve”, ha sempre dovuto vedersela con fidanzati falsi, distanti, traditori, e con amiche troppo attraenti, vitali e spigliate. Si è sempre sudata ogni minima vittoria.
E non parliamo poi di “lieto fine”: a poco più di trent'anni, il massimo a cui possa aspirare è un qualche rapporto tiepido con un uomo di seconda mano. E a che prezzo, poi...
Raccontato in prima persona e al passato remoto, ma racchiuso tra due brevi monologhi interiori(3), che fanno eco allo stato d'esaltazione della protagonista(4), il romanzo porta in scena una variante noir del più “classico” triangolo amoroso, e sfiora il tema della “violenza di genere”(5), trasfigurando, però, il motivo sociologico, statistico e “di cronaca”, in un intreccio “nero” tutto giocato sulla dimensione psicologica.
Con piglio sicuro -d'altra parte, a sostenerla nell'impresa c'è un quintetto di personaggi perfetti e perfettamente definiti, da Biancaneve, vittima delle situazioni e incapace di prendere la benché minima decisione senza l'aiuto dell'amato (e temuto) “I Ching”(6), all'insopportabile e manesco Alberto, passando per l'amica Rossana, l'anonima studentessa di farmacia e il commissario Zonta-, l'autrice conduce i lettori per mano, dall'iniziale, fredda e “ben educata” esistenza della protagonista (incapace di incidere su un mondo “estraneo”), al “tragico” finale, dettato da un caso non “cieco”, ma “vendicativo”(7)); il tutto secondo una serie di passaggi strettamente logici, che affiancano alla dostoevskiana considerazione dei meccanismi psicologici di rimozione, d'elaborazione del lutto e del senso di colpa(8), lo sviluppo di una crudeltà e di una freddezza delle quali la “Biancaneve” delle prime pagine sembrava del tutto incapace...
Il romanzo “Biancaneve”, di Marina Visentin, è edito da Todaro.
(1)Marina Visentin, “Biancaneve”, Todaro Editore, Lugano 2010, p. 110.
(2)Ivi, p. 7.
(3)I monologhi permettono all'autrice di inscrivere il racconto in una cornice quasi-circolare: a ben vedere, incipit ed excipit non coincidono, come se nel corso della lettura qualcosa fosse cambiato in maniera irrimediabile, per il lettore come per la protagonista.
(4)Ma la momentanea “follia” della protagonista non diviene mai pretesto per una sospensione del controllo linguistico e sintattico: la scrittura di Marina Visentin (copywriter, giornalista e traduttrice, e quindi tutt'altro che esordiente, seppure alle prese con il suo primo romanzo) è incredibilmente precisa, dalla prima all'ultima pagina.
(5)Quello della violenza sulle donne è un tema “collaterale” ma fortissimo, affrontato con la cura per il particolare psicologico che caratterizza l'intero romanzo; si veda, per esempio, la ricostruzione di pagina 125, aperta dal proverbiale “non mi aveva fatto poi così male quella volta”...
(6)Oracolo che, parafrasando la durrenmattiana “Morte della Pizia”, “profeta a casaccio, vaticina alla cieca”, ma che finisce per avere ragione, un po' per via della già citata insicurezza della protagonista, e un po' perché “altrettanto ciecamente viene creduto”.
(7)“Vedi, amore mio, cosa succede a sfidare gli Dei? La loro vendetta è terribile. E non c'è perdono”, recita l'impenetrabile (almeno alla prima lettura) incipit...
(8)Si veda, a titolo d'esempio, il meraviglioso brano relativo al (tardivo) sogno dell'amica morta pp. 97-98.
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