C’era una volta un profeta giudeo in fuga di nome Giona. Non si sa di preciso da cosa scappasse, ma poco importa, gli ebrei fuggono sempre da qualcosa.
Essendo giugno, entrò in un’agenzia di viaggi per decidere dove passare la lunga e calda estate ormai alle porte. Per soli 40 denari prenotò una graziosissima multiproprietà a Ninive, dove ad agosto avrebbero girato le semifinali di Miss Italia e due puntate di Veline.
Fu così che s’imbarcò per Ninive, ma durante il viaggio la nave su cui viaggiava s’imbatté in una violenta tempesta.
I marinai invocavano ognuno la propria divinità: Gesù, Buddha, Maometto, Beppe Grillo, e impauriti gettavano i propri averi dalla nave per alleggerirla.
Poi il capo equipaggio ebbe una di quelle idee geniali, razionali e squisitamente scientifiche che vengono solo alle persone che vivono per anni sul mare con il cervello bruciato dal sole:
“Venite, tiriamo a sorte tra di noi, così scopriremo di chi è la colpa e chi è che porta sfiga”
Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona, nonostante egli tenesse la mano saldamente stretta sulle gonadi. Così gli domandarono:
“Spiegaci perché stiamo subendo questa sciagura”
“Ma che ne so, sono solo un ebreo che sta andando in vacanza a…”
Ma alla parola “ebreo” l’equipaggio lo alzò di peso e lo buttò senza troppe chiacchiere fuori dalla barca. Prima però gli infilarono due braccioli di Spongebob giusto per tenersi la coscienza pulita.
La tempesta passò, ma Giona rimase alla deriva nel Mediterraneo.
La mattina dopo gli si palesò davanti un enorme balena che lo inghiottì in un sol boccone mentre lui malediva Alberto Angela che in una puntata di Super Quark aveva dato garanzie sull’assenza di capodogli nel Mediterraneo.
Nella pancia della balena non si stava poi così male, era un open-space di circa 300 mq con wi-fi, due bagni, tre balconi di cui uno ad angolo, e il parquet in terra. Ma la vera sorpresa fu trovare un coinquilino: tale Geppetto, un falegname in pensione della provincia di Livorno che bestemmiava pesantemente ogni volta che parlava di suo figlio, un testa di legno fancazzista laureato in lettere che si era unito ad una compagnia di teatro da quattro soldi di un grasso zingaro barbuto di nome Mangiafuoco.
Giona e Geppetto passarono lunghi giorni nella pancia della balena: mangiavano i pesci che ingoiava il capodoglio, facevano i turni per le pulizie, la sera guardavano un poco di televisione e poi andavano a dormire. E non pagavano né l’affitto né la bolletta del gas, perché usavano la bombola.
Geppetto si mise in testa anche di scrivere un libro sulle balene e fece leggere l’incipit a Giona:
“Chiamatemi Ismaele… Che inizio di merda Geppetto, lascia stare ‘sta cazzata del libro e vieni qui che ci facciamo una scopa, dall’ultima partita mi devi ancora 27 pezzi d’argento”
Un giorno però accadde che la balena ingoiò anche il figlio di Geppetto, e Giona assistette ad una sceneggiata familiare tipicamente napoletana condita da irripetibili allocuzioni toscane.
Durante il tremendo litigio la balena sentì un devastante bruciore di stomaco, ma non avendo a portata di mano una pasticca da 30 kili di Maalox, si mise due dita in gola e vomitò tutto: Giona, Geppetto, suo figlio, i tre balconi di cui uno ad angolo, il parquet, le carte per giocare a scopa e la password del wi-fi.
Una volta fuori dalla bestia, i tre naufraghi furono raccolti da un gommone di migranti libici che poi naufragò a sua volta nel canale di Sicilia.
Giona iniziò a sospettare di portare davvero sfiga.
Ma anche in quel frangente gli andò tutto sommato bene, perché fu nuovamente tratto in salvo, questa volta da un peschereccio italiano.
Giunto finalmente a terra e riottenuti tutti i documenti e i soldi grazie alla potente lobby giudea, Giona scoprì che Ninive non si trovava sul mare, bensì sulle rive del Tigri, così prese un aereo per Baghdad da dove poi avrebbe raggiunto Ninive in pulmino.
L’aereo di Giona però fu abbattuto da un razzo, lanciato per buon augurio durante un allegro matrimonio sunnita.
Invece Geppetto e suo figlio, confusi tra i migranti, cercarono di arrivare in Francia, ma a Ventimiglia trovarono la frontiera chiusa, così furono rispediti in Libia e non rividero mai più la loro amata Toscana.
Di Marco Improta.
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