Questo pomeriggio, dopo aver letto il commento di Luciano Gabrielli lasciato al post precedente, ho contattato Marino Cassini per avere un suo ulteriore punto di vista riguardo il toponimo Merdanzo. Questa sera Marino mi ha risposto, rimarcando le sue convinzioni e motivandole come segue:Cara Roberta, rispondo a caldo alla tua richiesta sul toponimo Merdanzo.Avevo a suo tempo letto quanto Nino Lamboglia scrisse sull'etimologia del toponimo "Merdanzo" e con Alberto avevamo pensato ad altre spiegazioni come la derivazione dal latino "mendacium" ,che se non erro ho trovato in uno scritto di Girolamo Rossi (non chiedermi quale perché non lo saprei ritrovare) o alla derivazione ricavata da Alberto dalla parola "canavaira, e dai miasmi che la macerazione della canapa produceva nel fondo valle dove veniva coltivata. All'ipotesi del signor Gabrielli avevo anche pensato. Essendo Apricale l'unico paese che sorge nei pressi del rio, i liquami che nel lontano passato finivano in fondo valle potevano aver fornito l'occasione per battezzarlo con quel nome. Ma l'avevo scartata, anche perché, quando mia moglie fece una tesi sugli usi e costumi della Val Nervia, nelle interviste che conducemmo assieme nei vari paesi, nessun vecchio di Apricale, da noi interpellato, parlò di condutture (fogne) che dall'alto del paese scendessero sino a valle per smaltire le "acque nere". Apricale non era una città con decine di migliaia di abitanti, bisognevole quindi di una Cloaca Massima (vedi Roma) per smaltire i liquami. Nel lontano passato gli Apricalesi (Vrigarenchi) erano sì e no un migliaio, tutti contadini, e i liquami erano il concime naturaleche usavano per orti, uliveti, vigneti e , ritengo, ben poco raggiungeva il fondo valle in quantità tale da dare il nome al rio.Ricordo che nella mia infanzia "il soverchio peso del corpo" veniva accuratamente raccolto in grossi pitali ("benengèire") per essere poi messo in botticelle di legno della capacità di 20/30 litri, e portato , due o tre volte alla settimana, negli orti e nei campi per essere distribuito tra i solchi coltivati ad ortaggi.(Eccoti una curiosità: durante i primi decenni del secolo scorso i comuni mettevano all'asta pezzi della strada comunale che da Ventimiglia raggiungeva Pigna. Colui che otteneva l'appalto e solo lui (avendo versato una modesta somma) aveva il diritto di raccogliere gli escrementi dei muli e degli asini che percorrevano la carrettiera. Tutto letame che finiva negli uliveti. Allora non si buttava via niente. Ecco perché sono scettico circa l'ipotesi del signor Gabrielli, che ho avuto il piacere di conoscere e che colgo l'occasione per salutarLo unitamente alla moglie.Un caro saluto anche a te Marino.
Ringrazio Marino per la sua risposta e per aver incrementato, con la notizia dell'appalto della raccolta degli escrementi animali, una parte del passato legato a questa terra.