Marino magliani, giacomo sartori: “zoo a due”

Creato il 12 luglio 2013 da Postpopuli @PostPopuli


di Giovanni Agnoloni

da valentinamente.wordpress.com

Marino Magliani e  Giacomo Sartori sono gli autori di Zoo a due, raccolta di racconti edita da Perdisa Pop, che in realtà non è una semplice serie di storie brevi. È un percorso a più voci, un coro polifonico narrativo. Protagonisti, gli animali, tanti, diversi e spiazzanti.

Una struttura originale, con brevi – ma non brevissime, e soprattutto dense – pillole di Giacomo Sartori, seguite da due componimenti lunghi di Marino Magliani, legati tra loro per i personaggi e l’ambientazione (la Liguria).

Le storie di Sartori, invece, ruotano intorno a figure sempre differenti e si svolgono in luoghi indeterminati, nella miglior tradizione fabulistica, da Esopo e Fedro in poi. A volte scendono addirittura nell’infinitamente piccolo, con i “tormenti” di un organismo monocellulare, o comunque nel piccolo, con – tra le altre cose – le vicissitudini di una laboriosa formica, desiderosa di uscire dagli schemi. Ma troviamo anche un canarino preoccupato dalle conseguenze della sbadataggine dei suoi proprietari, o le vicende di una simpatica cagnetta alle prime esperienze d’amore. Sono pillole, appunto, sorprendenti per la capacità del narratore di calarci in un punto di vista “non umano”, sia pur “antropomorfizzato”.

Le peregrinazioni di Cobre, il cane “portato a perdere” dal suo padrone nel primo racconto di Magliani (Il cane e il mare), hanno invece il passo di un andante viscerale, perché al tempo stesso intriso del calore dell’entroterra ligure e del dramma di una creatura impotente e sradicata, che aspira a raggiungere il mare come a un abbraccio liberatorio, e lungo la strada incontra fastidi e sofferenze di ogni tipo. Prevale però il senso di poesia ambientale, così tipico della penna “biamontiana” di questo raffinato autore ligure, recentemente elogiato su Repubblica anche da Massimo Novelli come una delle migliori voci della scena letteraria italiana contemporanea, che dalla Liguria dei romanzi che l’hanno fatto conoscere al grande pubblico sembra aprirsi su una dimensione universale.

E così è anche per il suo secondo racconto, Il figlio del cane e le colline, dove, in una sorta di nèmesi, il figlio di Cobre, dalla costa, compie un percorso a ritroso verso l’interno, risalendo alla fonte delle disavventure del padre e chiudendo il cerchio di un intreccio tragico. In questa “sinfonia” zoomorfa”, che in realtà è legata da una sottile ma evidentissima linea di continuità alle micro-storie di Giacomo Sartori, riecheggia la potenza archetipica del rapporto uomo-animale tipica della grande letteratura imperniata sulla Natura (penso a Il richiamo della foresta di Jack London, recentemente ritradotto in italiano da Davide Sapienza insieme, tra l’altro, a un altro potentissimo e perturbante racconto, Preparare un fuoco).

Qui, al posto della foresta, abbiamo il mare – nel caso di Cobre – o le colline dell’entroterra – in quello di suo figlio. In ogni caso, si tratta di una meta, di un approdo dove si sciolgono le tensioni dell’attaccamento al possesso, a un’identità “imprestata” – e dunque alle matrici genitoriali -, come se assistessimo a una regressione alla naturalità colta nella sua dimensione nuda, genuina, che scorre con e sulle cose.

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