In occasione del centenario dalla nascita del regista Mario Bava (Sanremo, 31 luglio 1914 – Roma, 25 aprile 1980) celebrato nell’ambito del 15° Festival del Cinema Europeo di Lecce, la Mediateca Regionale Pugliese di Bari gli dedica una retrospettiva ed una mostra dei manifesti originali delle sue opere.
Ogni martedì e giovedì del mese di luglio, Giuseppe Procino e Irene Gianeselli introdurranno alla proiezione di alcuni fra i capisaldi della produzione del cineasta ligure.
Mario Bava: ironico, amaro e spietato. Mario Bava: sarcastico, beffardo e terribile.
Mario Bava a cui va il merito di avere creato, come un artigiano capace di plasmare il materiale più scabro, alcune delle declinazioni del Cinema che hanno influenzato i registi più osannati del panorama italiano e poi mondiale, è forse il cineasta meno celebrato e degnamente ricordato per la sua assoluta originalità.
Horror, giallo, spaghetti western, pulp fiction: Mario Bava è stato il fautore di questi generi.
Il giovane figlio di Eugenio Bava (a sua volta scenografo e direttore della fotografia) inizia a lavorare tra le pellicole manipolando i filmati propagandistici dell’Istituto Luce.
Avvia la carriera da direttore della fotografia lavorando prima con Vincenzo Leone e con Roberto Rossellini poi. Seguiranno intense collaborazioni con altri grandi del cinema italiano del dopoguerra. Regista per caso: nel 1959 viene scelto per ultimare le riprese de “La Battaglia di Maratona” inizialmente diretto da Jacques Tourneur.
L’esordio arriverà con il gotico “La maschera del Demonio” raffinata amalgama di rustici effetti speciali ed espedienti semplicemente geniali (come quello di inserire e tirare dall’interno di un modello di teschio gli occhi di un vitello, rendendo straordinariamente plastico l’angosciante risveglio della strega).
Arrivano uno dopo l’altro – dal 1963 in poi – il thriller “La ragazza che sapeva troppo“, il complesso e terribile “La frusta e il corpo” incentrato sul rapporto sadomasochista di una donna con il suo aguzzino e l’horror a episodi “I tre volti della paura” dove lo spettatore viene assorbito nelle vicende inquietanti che si muovono tra i colori di un “quadro animato” e tra le luci esasperate tendenti ai toni acidi del pop che caratterizzeranno il “Diabolik” del 1968.
“Il Cinema è tutto un trucco” amava ripetere Mario Bava, maestro per Tim Burton, Martin Scorsese e tanti altri eredi dell’arte del metacinema e della vena ironica che pervade le ingegnose messe in scena del macabro: da “Sei donne per l’assassino”, passando per il gotico “Operazione Paura“, al sarcastico “Il Rosso Segno della Follia“, senza dimenticare lo slasher “Reazione a Catena” e l’horror gotico per eccellenza “Gli orrori del castello di Norimberga“: tutti i film del sapiente e beffardo narratore del terrore sono stati fonte di ispirazione per i suoi successori.
Cinquanta e più sfumature di dark, verrebbe da dire ridacchiando.
“Ho sempre avuto paura dell’uomo, non del fantasma” rispondeva sorridendo alle domande dei suoi intervistatori: sono gli uomini che si affidano a suggestioni sbagliate per finire strozzati nei propri incubi, sono sempre gli uomini a infliggersi pene e sofferenze, anche e specialmente quando sono mostruosamente trasformati dalle loro stesse ossessioni.
In “Cani arrabbiati” – uno degli ultimi lavori – Bava si concentra attorno agli “orrori dell’animo umano” in un road movie che è una catabasi senza ritorno, degno finale di carriera per un regista che ha sempre inseguito la rigorosa violenza della perversa umanità.
L’inferno sono quindi la contraddizione e la violenza insite nell’uomo, la follia inarrestabile dei personaggi invasati e sospesi tra un onirismo esasperante e un’isteria collettiva insostenibile, creati sapientemente da zoom a volte esagerati, effetti speciali pionieristici e fuori fuoco suggestivi che assicurano tensione e terrore.
Written by Irene Gianeselli
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