Valentina Di Bennardo16 ottobre 2013
A pochi mesi dalla scomparsa del celebre fotografo Mario De Biasi, Galleria Studio (Palazzo Moncada di Paternò, via Bandiera, 11 – Palermo) dedica una mostra ai capolavori del maestro bellunese. Omaggio a Mario De Biasi presenta al pubblico quarantacinque stampe vintage di una delle più ragguardevoli firme della fotografia d’autore mondiale. Mario De Biasi, quel folle reporter che affrontava dive e pallottole, per dirla con Gianluigi Colin autore di un significativo articolo pubblicato il giorno della scomparsa di De Biasi sul Corriere della Sera avvenuta lo scorso 27 maggio, non è stato soltanto un grande fotografo e un artista infaticabile. È stato prima di tutto un uomo di eccezionale statura morale il cui rigore, coraggio, tenacia, spirito di abnegazione sono presenti negli scatti che ci ha lasciato. Dotato di un occhio acutissimo e di una tecnica sempre impeccabile, anche nelle condizioni ambientali più estreme, De Biasi è stato il modello irraggiungibile per migliaia di fotoreporter. Ma per tutti coloro i quali hanno avuto il privilegio di conoscerlo e di frequentarlo, la valenza professionale è nulla in confronto al modello di etica e di umanità che questa persona straordinaria ha incarnato per una vita intera.
Il suo incontro con la fotografia è già leggenda: nato a Belluno nel 1923, inizia la sua attività nel 1945 quando ritrova un apparecchio fotografico sotto le macerie di Norimberga, dove era stato deportato un anno prima. Da allora comincia ad imprimere su pellicola di tutto e, finito il conflitto e trasferitosi a Milano, a raccontare la città del dopoguerra e la sua trasformazione con occhio curioso e determinato. Nel 1953, per primo in Italia, trovò il coraggio di compiere il salto di qualità, entrando a far parte dello staff dei fotoreporter del settimanale Epoca. Dopo di lui, seguendone l’esempio, un’intera generazione di giovani fotoamatori italiani avrebbe sognato di fare la sua professione. Per oltre trent’anni, De Biasi sarebbe stato il capo dei servizi fotografici di Epoca e delle riviste illustrate del gruppo Mondadori. Centinaia i reportage realizzati, in ogni parte del mondo, centinaia le copertine e le mostre, inaugurate sia in Italia che all’estero. Un centinaio i libri pubblicati. “L’italiano pazzo”, così come lo definiva un giornale clandestino ungherese, era sempre pronto a sfidare ogni tipo di situazione, ogni guerra o rivolta perché, come scrisse l’amico Bruno Munari, «La macchina fotografica fa parte della sua anatomia come il naso e le orecchie».
Il suo capolavoro rimane Gli italiani si voltano, ormai internazionalmente acclamato come un simbolo della cultura italiana nell’età del cosiddetto boom economico. Mostra una giovanissima Moira Orfei avanzare di spalle in piazza Duomo a Milano, circondata da una cortina di sguardi maschili, sedotti dalle sue forme procaci. Celeberrima sin dagli anni ’50, questa fotografia venne esposta alla mostra The Italian Metamorphosis, 1943-1968 al Guggenheim Museum di New York nel 1994, divenendo simbolo dell’evento. Così per alcune settimane le strade di New York vennero tappezzate da manifesti con questa immagine. A New York De Biasi ha dedicato due reportage di grande spessore: il primo nel 1956, il secondo nel 1965. Di entrambi vengono presentati in mostra pezzi di eccezionale importanza. «Ha fotografato rivoluzioni e uomini famosi, paesi sconosciuti. Ha fotografato vulcani in eruzione e distese bianche di neve al Polo a sessantacinque gradi sotto zero», ha scritto di lui sempre Munari. Non c’è angolo del globo, invero, dove De Biasi non sia stato inviato: tra le opere esposte a Palermo, si notano scatti realizzati in Siberia o in Alaska, così come in Africa, in Sudamerica, in Polinesia, in Nepal. Dei suoi epici viaggi la selezione della mostra offre una panoramica più che esaustiva.
Sotto la direzione di Enzo Biagi prima, di Nando Sampietro poi, realizzò per Epoca i suoi più famosi reportage: quello sull’eruzione dell’Etna nel 1964, su padre Greggio nel 1965, sui funerali di Jan Palach a Praga nel 1969, sugli astronauti dell’Apollo 11 nel 1969, sul Giappone nel 1970, sulla fame in Etiopia e sulla guerra arabo-israeliana nel 1973. Di particolare rilievo è il reportage eseguito a Chichicastenango, Guatemala, per la festa di san Tomás nel 1972. Volti di intensità straordinaria figli di una religiosità popolare fortemente intrisa di elementi pagani. All’interno della grande chiesa, l’unica luce disponibile era quella delle candele: soltanto il grande De Biasi poteva, da una situazione impossibile come quella, uscire con un numero così impressionante di capolavori. Enzo Biagi gli inviò un telegramma che testualmente diceva: «Coraggio, per te niente è impossibile». Ed era la verità. De Biasi ne aveva dato ampia prova già nel 1956, fotografando i tragici fatti di Budapest e la sanguinosa repressione sovietica. Fu questo lavoro a regalargli la notorietà internazionale. Per quanto sulla stessa scena fossero presenti professionisti di grandissima fama, furono le fotografie di De Biasi a venir pubblicate dalle riviste di diciannove paesi stranieri. Fu a partire da quel memorabile viaggio che De Biasi ebbe il suo posto nel pàntheon del fotoreportage mondiale accanto a Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, William Eugene Smith.
Le fotografie di De Biasi hanno la stessa forza artistica di un dipinto. D’altronde, “l’italiano pazzo” era anche pittore. Come scrive Colin, «Proprio come Henri Cartier-Bresson, anche De Biasi era consapevole che la fotografia non era in grado di raccontare l’intima essenza del mondo. Forse, la pittura sì. Ma a differenza del grande maestro francese, De Biasi non aveva abbandonato del tutto la fotografia, anzi. Con determinazione ed entusiasmo aveva continuato a fotografare, non più per raccontare la grande Storia, quanto per ricercare un’estetica dalle piccole cose della vita quotidiana o per scoprire nuovi racconti dalle foto del passato. Insomma, proprio come ha condotto tutta la sua vita, era instancabile, non si fermava mai». E lo confermano gli oltre cento libri realizzati, dei quali diciotto dedicati a Milano. Curiosità, entusiasmo, passione, sentimento, fantasia, intuito, scrupolosità, dinamismo, laboriosità, efficienza, premura, precisione: è questo che De Biasi sembra aver lasciato ai posteri come testamento. Valori e qualità che non hanno solo una valenza estetica ma sono il fondamento della vita.
La mostra, inaugurata lo scorso 28 settembre, rimarrà aperta al pubblico sino al 3 novembre 2013
(ingresso gratuito su appuntamento – scrivere a: [email protected])