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Mario Fresa - Uno stupore quieto

Da Ellisse

Mario Fresa - Uno stupore quieto - Ed. Stampa2009, 2012, "La collana", a cura di M. Cucchi
mario fresa - uno stupore quietoUn senso di insopprimibile inquietudine è il sentimento predominante nella lettura di questo ultimo libro di Mario Fresa. Dietro la copertina innocente e il titolo insospettabile ci aspetta un mondo incerto, mobile e perfino poco sicuro, visto che si parla (anche) di metamorfosi kafkiane, di sicari, di morte. Si incomincia la lettura di ciò che non ha importanza definire prosa poetica o poesia in prosa, e ci si ritrova in un terrain vague in cui i tradizionali punti di riferimento che ci conducono per mano verso un confortevole traguardo del senso vengono a mancare progressivamente. Siamo lettori precari, in balìa dell'immaginazione dell'autore, del suo onirismo ragionato con cui rovescia il consueto complesso di inferiorità di chi scrive ("oddio, mi si capirà?") nei confronti di chi legge e instaura - e sospetto con molto divertimento di Mario - una sua personalissima dittatura. E tuttavia è in questa precarietà che il lettore accorto cerca e trova il suo equilibrio, la sua "colmatura" dei vuoti, incastra il "suo" senso. Lo "stupore" del titolo, parola che interviene più volte nel testo, non ha niente di romantico, né è quieto, ma assomiglia più ad un avvertimento a stare viceversa all'erta, a non farsi cogliere impreparati o in uno stato ipnotico, a cui la realtà - anche di tutti i giorni, anche di cronaca - rischia di ridurci. Può essere lo stupore della morte, oppure di inusitati sbocchi di eventi, o di svolte inopinate nell'andamento naturale delle cose. Ci sono vari personaggi, personalità forse multiple, maschere in commedia, insospettabili, malati, assassini. C'è l'autore stesso, ovviamente, di fronte al mondo, alla vita, ai suoi dolori e alle sue ridicolaggini, alle sue perdite e alle sue ingiustizie, a cui cerca di porre qualche risarcimento, qualche ricucitura, con la scrittura. Direi che non si può parlare di versificazione, qui, o forse è inutile. Richiamare il verso lungo, come fa M. Cucchi nella breve prefazione, non indica molto. Il riferimento in tal senso a esponenti del 900 è ammissibile direi più in termini morfosintattici, di utilizzo delle catene semantiche in un certo modo, dei traslati, del linguaggio comune ecc.  Chi indicare? l'andamento prosastico e "parlato" di Raboni, ad esempio del suo "Cadenza d'inganno"? un Pagliarani più decostruito? Vai a sapere...(e del resto, già in "Alluminio" (v. QUI) erano presenti molti elementi del Fresa odierno). A me, che mi piace l'azzardo, è venuto in mente Gadda, non tanto nel senso del pasticcio linguistico, della geniale enumerazione dell'ingegnere, quanto dell'ironia (che  anche Cucchi segnala) sempre sottesa a questa "disarmonia prestabilita" di Fresa, ma anche - e non a caso, direi - l'andamento un po' improbabile del melodramma in agguato. Comunque sia, Fresa è uno che ci sa fare con il linguaggio, da una parte aborre la retorica, dall'altra la conosce tanto bene (e conosce bene i meccanismi che innesca nella nostra mente) da architettare tranelli tanto simili a quelle buche coperte da innocenti ramoscelli in cui casca la tigre. Avviene così di ritrovarsi in un ambiente, in una storia (?), in un sogno che non è il nostro, in un dialogo che ci appare decontestualizzato, in una frase che non termina e ci lascia seccamente di fronte, per dirla con Borges, a  sentieri che si biforcano. Si cade, sotto molti aspetti, in un abile tranello narrativo, con la nostra stessa complicità, dato che vengono frustrati certi esiti che la nostra mente di lettori ingenuamente si aspetta. Non credo che sia del tutto fuori luogo, nel caso di questo libro, accennare da una parte ad una presenza dell'onirico come mimesi del reale e valorizzazione e nobilitazione dell'ordinario e dei suoi sbocchi anche inaspettati; dall'altra ad un linguaggio finzione, quasi campionato da segmenti di nastro magnetico (ecco, ora mi viene in mente Beckett), o da citazioni di citazioni, e messo in teatro in testi anche complessi, anche vertiginosi; dall'altra ancora a ciò che vorrei definire una narrativa "a iati", per sottrazioni o atti mancati, come in cerca di autore, ma - per le ragioni che dicevamo - niente affatto reticente, anzi fortemente suggestiva, nel senso etimologico del termine. Per questo mi pare che sia una piccola sottovalutazione parlare, come fa il prefatore, di "uso regolare del parlato, per quanto senza eccessi"  (corsivo mio). Viceversa l'insieme degli elementi a cui accennavo costituisce un "eccesso" felicemente "sregolato", il fascino maggiore di questo libro ed anche la sua carica "sperimentale", a cui corrisponde la richiesta di una forte e consapevole partecipazione da parte del lettore. (g.c.)
LARGO POMERIDIANO
1.
Al sentire il suo nome,
si parla subito di una pozza larghissima, di corpi
carezzati dalle lame, di selvaggi movimenti,
di enormi buste coperte da un nugolo di foglie.
Più o meno dicevo cose di questo tipo;
non le ricordo bene;
non le ricordo, cioè, con precisione.
Me le segna, ormai da qualche mese,
su di un bellissimo quaderno, la mia cara Stefania
(quella dalla siringa sempre pronta nella borsa),
che ha deciso di tenere degli appunti su di me.
Non ho capito bene, ma penso (risatella di tutti)
che voglia farmi protagonista della sua tesi di laurea.
Rispondendo al suo test, mi ha consigliato
«con tutto il cuore» di non rivelarmi
il profilo psicologico che ne è uscito fuori.
Mi compiange. Intanto già sorride, lui, come sua madre
che ora ha imparato a dire che non c'è mai;
così, da qualche mese, si fa sempre negare, al telefono,
quasi ogni giorno (si ascoltano sussurri, frasette velenose:
«se fosse lui. . . di’ che l’ufficio fa orario continuato. . .
l'operazione gli dirai che è andata bene. ..
teniamo duro fino a domani: si stancherà, si stancherà. . .»).
2.
Ma parliamo pure, se vuoi, di quel famoso giorno.
Era mattina.
Mi sono vestito con cura, radendomi pianissimo;
più mi fissavo allo specchio e più non capivo.
Ho salutato tutti con entusiasmo; l'unico progetto era
di recarmi dal commesso, quel porco, per chiedergli
come mai (gridando, semmai, per spaventarlo)
quel libro non è arrivato ancora, quindici giorni fa,
gli ho detto, nemmeno arriva, nemmeno adesso?
Altra versione riportata: 
Era di pomeriggio.
Sono uscito di casa in modo trasandato,
la camicia semiapetta, la barba quasi lunga,
indocile, aguzza.
Non ho salutato nessuno. Ho aggiunto
qualche sguardo un po' distratto un po' cattivo.
Sono andato dal commesso, gentilmente; gli ho detto
di non preoccuparsi se ci mettono tempo; aspetterò,
gli ho detto piano.
Il fatto è che ci vogliono davvero tante, tantissime
domande per fare uscire
una sola mezza frase da Carla («questo è falso. L'altra sera
al ristorante lui mi ha fatto una scenata
e in quel momento pensavo a te, a come
avresti reagìt».
«Ti sei pentita, allora?»;
«No, tutt'altro. Tu parlavi a metà, non finivi nessuna frase.
Poi mi facevi ridere, proprio ridere, tanto»).
3.
Nella vasca, ricordi? Ci si accarezzava i gomiti e
la schiena, lentamente, lentamente.
C°era sempre, dall'altra parte, il solito vicino
che origliava, l'enorme tanghero poco portato
alla conversazione e ai bei modi.
Ricordo la sua bocca quasi mai ferma,
stranamente gonfiata; le dita aguzze,
esperte. «Non mi resta, al massimo,
che un anno», diceva, inchinandosi piano,
con mansueta dolcezza, verso l’amico-aguzzino.
Eppure, le croste appiccicate sulla schiena
nemmeno l'acqua riusciva a cancellarle,
a scioglierle per bene: che mai sarebbe
stato di te, quanto avresti vissuto ancora?
«La maestra d'inglese
mi disse, complimentandosi, che avevo fatto bene...
È vero, mi era venuta voglia di rompere
il naso a quegli stupidi, ma da allora
il nuovo amico conosciuto m'insegnò a mantenere
la calma in ogni circostanza: ero tornato a casa
con il sangue che scorreva dalle mani, ma ero riuscito,
almeno, a salvare quel povero bambino indifeso».
4.
Amici cari, non sopportavo più la sua sconfinata
fragilità, il suo silenzio remissivo.
Dovevo farcela, insomma:
darle ancora felicità, sostegno.
«Perché quei giri così insistenti
e continui intorno alla mia casa?
Le tue tracce le ritrovo dappertutto,
appena varco il portone per uscire, ogni mattina, all'alba».
Pare che al ristorante ci sia stato io;
eppure non ricordo. Era l'altro, forse,
che la faceva divertire (anche qui, le versioni
divergono in modo considerevole;
qualche frase è illeggibile, confusa).
Appena entrato non mi hanno detto che
l’avevano scoperto, il delizioso sacco
pazientemente sotterrato nel mezzo del fogliame.
Se confessi, se sarai buono, non ti accadrà nulla
(sorriso falso, buchi incipienti nei suoi
denti disfatti, tremolanti).
Mi ricordo soltanto, a ripensarci adesso,
del corpo rigido e bianco di lei, e il suo
sguardo distante, impreparato alla sorpresa
della morte; desideroso, quasi,
di concedere, in segreto,
un`importante confessione.
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«Perfino il modo di guardare la vetrina è politico»:
sudando per la gioia, davvero tanta; col suo piccolo braccio
che discende sul vetro («Ma che bestia! E sì che te l”avevo detto, a te!
Così tu me la sporchi, beh: ma per adesso... Comunque t'ho detto
meno forte: meno forte... così...»).
Allora, qui si compra o si mangia:
la commessa che generosamente espone.
Luigi lecca, proseguiamo:
Ti prego di osservare la  qualità della piega;
e il suo colore; e lo spessore della stoffa; la resistenza il taglio; e poi
la morbidezza e poi; e la sua comodità.
Cioè tu compri Lui mangia.
Lo prendo, qui:
la fame ansiosa del suo Desidera?
E quindi, malcurata e quasi assente, è venuta la sua
Signora, poderosa gransedere, che annuisce, toccando;
solennemente spulcia tra le vesti; pensando Questa, però, non dura mica sette giorni;
lo so che poi la lavo e dopo una, due, massimo tre volte
che la indosso, dovrò buttarla; soprattutto se quello stronzo di Giangarlo ora me la.
In ogni cosa Laura è assai precisa.
Infatti: «Un’estensione di tale reazione sono il disgusto
e l’awersione esagerati manifestati talvolta riguardo a
qualsiasi idea di contaminare o di guastare. Tali
persone soflrono al pensiero che qualsiasi cosa,
particolarmente begli oggetti, sia danneggiata,
guastata, rovinata, e la loro vita in un'era
industrializzata è una lunga protesta contro
l’intromissione dell`uomo, con tutto il suo squallore
e la sua bruttezza, in luoghi della Natura
precedentemente non toccati. Macchiare le tovaglie,
sfigurare un libro, danneggiare un quadro, lo sviluppo
di una città dove prima vi erano campi e boschi, i resti
del pranzo lasciati dai gitanti in campagna, la
costruzione di una nuova fabbrica o l'estensione di
una ferrovia, suscitano tutti la stessa reazione di
angoscia tormentosa e di forte risentimento. Inoltre,
non è rara l'intensa avversione per la sporcizia
riguardo a oggetti esterni, particolarmente abiti e
mobili, che nei nevrotici può diventare estremamente
esagerata; indica come segno particolare di un
complesso erotico-anale l`avversione per la sporcizia
della strada, e la tendenza a tenere le gonne molto
sollevate da terra (eccezion fatta, naturalmente, per le
ragazze, nel qual caso ciò è dovuto piuttosto a un
impulso esibizionistico)».
Passeggiando, la coppia s'intenerisce riguardando il luccicante
rigirarsi dei manichini di nobile fattura;
ma questi non ingrassano mai?
Così, soffrendo, Lauracara;
e camminando preoccupata;
ma poi rimira l'acquisto più importante: cioè il il marito compratore;
e così, già consolata, soavemente avanza, piano, e ride.
DECISIONI AL TRAMONTO
Eccomi, beh, felicemente immerso nella cuccia del letto che mi accoglie.
Proprio per questo «siamo tornati in pace?»
«Ma Sì».
Veloci sorrisi di piuma.
Quindi seguono alcuni movimenti, forti e leggeri, sopra la mano calda, nervosa.
Così lui ride proprio; anche stamane.
Eppure la salita, se ci ripenso, fu davvero malagevole e penosa:
soprattutto per le adiacenze dell’immondizia grave, rigonfia,
ammassata sulla curva delle strade.
Tutte quante le mattine ci godiamo la vista del vecchio cameriere che,
pesantemente scopando, fa tutta tremare l'animosa gambetta;
dicendo Questi stronzi, guarda la strada, guarda la strada come l'hanno.
Ed ecco il momento più importante
della giornata: cioè quando noi due, il mio collega ed io,
tornando a casa e ripensando al lavoro pazientemente svolto,
ci dedichiamo con fervore...
L'ultima volta, però, che l'ho sentito parlare della sua tresca non mi è
mica piaciuto: su in redazione già qualcuno inizia a ridere, tanto;
cioè a scambiarsi i soliti, cattivi sguardi d'intesa.
Io faccio finta di niente; «ma te ti amo», sussurra viperina;
qualcuno mi sorride voracemente sbircia, e io proprio niente,
come se non sentissi.
«Non posso credere che tu te la sia presa per la diceria della tua
famosa comodità... in ogni caso, con un carattere come il mio, era impossibile...
[. . .] Intendo dire che non dovremmo sopportare questo genere di cose;
perciò, a scanso di equivoci, devi sapere, adesso, che,..».
Se rispondeva con un acuto colpo di tosse allora Sì, voleva dire
«bene, d`accordo»; se, invece, si aggiustava circa tre,
quattro volte i suoi polsini, significava (rischiarandosi la voce)
che l'ora dell’incontto doveva rimanere quella di sempre.
Adesso, invece, la vista cade sul favoloso impasto
dei gioielli inzuccherati, lucidissima vetrina gonfi progetti è bello, vero?
Sospira carezzando, carezzando il dolce vetro; e guarda quello e quello, dice,
sbrigati a entrare; pagami ed esci.
Ne prendo tanti, infatti; ogni mattina; e, puntualmente, soffro sempre
di stomaco, furiosamente inizio ad agitarmi e poi, dormendo,
prendo a correre, a parlare.
Così m°industrio a raccontarle questo sogno (la visione del pasticciere
che esplode e che m'ìnonda di melassa; la vetrina luccicante, quasi abbagliante);
e poi mi guarda, senza parlare, con una certa
severa riprovazione.
Eppure non si sta mica male, noi, non si sta:
siamo felici, noi;
che ne dici, per esempio, di andare dov'è stata
Giovanna in un albergo semmai dove c'è tutto: ma non bisogna in nessun caso
partire, ricordati, né l`otto
né il quindici
né il sedici: perché «Venere si oppone ancora al
segno: sottili dubbi potrebbero, perciò, insinuarsi
nella vostra mente. Non date retta, per adesso, alla
Luna in Vergine che chiude la settimana e che si
oppone a Urano e al vostro segno. Infine Marte
trasgressivo vi spinge a una passione segreta con un
Sagittario che conoscete bene: viaggi favoriti per il
diciotto, il diciannove e il venti».
Gli occhi, allora, cadono giù, maligni;
le mani sotto, diffidenti, astute.
Il centro non si può più vivere, scrosciante voce,
Laura sottile; seccatissima proprio.
Soltanto per trovare un posto con uno scatto aggiunge sopra le labbra
un ghigno un gentile ghigno.
Intanto, si salutano sull'uscio i due giovani che parevano
distratti: il fumo abbraccia subito, che incanto,
i loro corpi sospirosi; ecco il mio numero.
Dalle altissime statue del viale piombano sguardi morbidi
e neri come fossero veloci mantelli.
Eccolo, grazie.
La strada accoglie già la strana solennità confusa dei saluti.
Nell°angolo, la famosa ragazza si aggiusta impensierita
la sua maglia pesante e riapre, lentamente, il foglio contenente
l'amatissimo messaggio.
I testi sono tratti dalle sezioni "Storia di G." (il primo) e "Romanzi" (gli altri due). Le altre sezioni del libro sono "Titania" e "Una violenta fedeltà".

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