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Marion Blixen. La mia Africa

Creato il 15 ottobre 2010 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Roma è una piccola  Il Cairo. Un’esplosione sinestetica di casino e sporcizia  priva di logica già sui treni regionali:

- Scusi, è sua la valigia?

- Si, perchè?

- Non ci passo.

- E dove la metto?

- Trovi un posto…

- Senta: questo è un treno, questa una valigia. Mi sembra tutto perfettamente coerente.

Avrà non più di 25 anni il tassista che mi trascina verso la Tuscolana.

Impreca come un ossesso con frasi poco coordinate tra loro, e quasi mi sento in colpa di farlo guidare così tanto in mezzo alla giungla nera.

- Vojo annà casaaaaaa! Basta! È da stamattina che nun me fanno lavorà…guardi GUARDI!…

-Si, si , guardo.

Sul piazzale della stazione c’è un bus sull’altro. Non si  cammina se non passeggiando a piedi di cofano in cofano.

- Roma bloccata pe uno che pjava  4000 euro al mese, ar meseeee. E l’ha pure scerto lui de sta la ‘n mezzo.

Lo dice a me e anche ad un altro tassista che ci sta quasi sopra.

- Beh, era pur sempre un ragazzo..

Sostiene il secondo tassista con la classica flemma scialba politicamente corretta che avevo dimenticato.

- Si, vabbè era pure un ragazzo ma me pare esaggerato sto’ casino. Nun le pare signorì?

-Eh? Ah, si.

- …E sa che m’ha detto un poliziotto quanno ho chiesto si potevo passa´? Ao, pensa a fà er tassista!…

- Giusto! Ognuno al suo posto! Perchè auspicare il meglio?

-Eh, defatti….

Dai morti non per la patria il mio giovane tassista continua a sproloquiare su Roma (che dal finestrino bollente mi pare eterna fin troppo) e spara a zero sulla sua categoria.

-Ao, ma lo sa che ar commune pe fasse dà i turni mejo quanta ggente dice che c’ha er parente ‘nvalido? Quasi il 70%..

- Forse sbaglia per difetto.

-Che dice?

-No, niente. Fantasticavo.

Arriviamo sulla Tuscolana, talmente ingombra di tutto che quasi non c’è lo spazio nemmeno per pensare.

Saluto il tassista dicendogli che no, io non so niente di niente. Vivo in Germania adesso e lui, come tutti, ci rimane male. Tra lo stupore e l’invidia. Se sapessero!..

Mangio un pezzo di pizza e un supplì in una tavola calda gestita da una coppia rumena. Fa molto caldo, nonostante Settembre stia finendo, e priva di energie mi appoggio sul banchetto di un bengalese.

No, non voglio mutande.

Vorrei tentare di rilassarmi, se ci riesco, e comprare qualche libro in italiano.

Da un finestrino all’altro. Ho deciso di non cimentarmi nella corsa e attesa di bus e di prendere solo taxi da qui a mercoledí. Ho ferite ancora aperte sul pendolarismo, e ne parlo ai conoscenti, come Clint racconta al ragazzino cinese la sua Corea. Grande Clint!.. Il padre che tutti volevamo.

Trastevere è spettrale: i suoi avanzi di splendore restano sterili e inermi. Eppure un vago senso di saudade si inerpica in me. Che sia una sindrome di Stoccolma?

Oppure la sindrome agra che si respira nel villaggio della provincia, come quella ispirata dal quadro American Gothic di Wood e dalla scena finale di Brockeback Mountain, quando Ledger arriva a casa dei genitori di Gyllenhaal e abbottona piangendo la camicia del suo amore morto.

Tutto cambia per restare fermo (chi lo diceva? Boh!).

La differenza è che Ang Lee è anche bravo a commuovermi, Roma no.

Così, tornata per qualche giorno nel mio villaggio, nella cameretta la notte sogno il Grunewald berlinese, come una novizia Laura Palmer che torna nel vecchio paese per  prendere  i  maglioni pesanti e salutare la nonna.

Nel mio sogno vago, sudata, sulle foglie d’autunno, mi fermo a osservare come si confondono tra loro il cielo bianco e il grigio chiaro del lago di Wannsee in inverno. Poi mi sveglio e purtroppo sto a Ciampino alle 6.45 del mattino.

Una hostess piccola e acida dirige la folla dormiente nella giusta direzione. La piccola stronza mi multa per il peso bagagli.

- O paga o la svuota

- In genere c’è qualcuno che la svuota?

- No, pagano tutti

Non solo non posso pagare lei, ma devo andare in biglietteria sul cui trespolo è seduta un’altra stronza che appena mi vede sbraita:

- Guardi me li dia spicci che a quest’ora non c’ho da cambiare, eh….

- Non può cambiarli lei?

- Io?!! No, no, non posso uscire dal mio gabbiotto. Se vuole aspettiamo che arrivi qualcun altro che paga.

Ecco brava rimani nella gabbia.

Dopo aver chiesto a tutti gli esercenti di cambiarmi i soldi torno dalla stronza numero due che, guarda caso, improvvisamente ha il resto.

Come direbbe il tassista: fateme tornà a casa.

Natasha “Eva Kent” Ceci


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