Più volte mi sono detta che avrei davvero dovuto parlare anche di Harry Potter, qui sul blog. E ci ho provato, eccome se ci ho provato. Ho scritto tonnellate di parole che poi sono finite nel cestino in tempo record.
Niente era mai abbastanza. Niente era sufficientemente poetico, o adeguato, o significativo. Quindi via, nel dimenticatoio.
Poi ho capito dove stava il problema.
Per parlare di qualcosa di così tanto amato non posso usare espedienti ricercati, non posso cercare di creare qualcosa all'altezza.
Niente potrà mai essere all'altezza di Harry Potter perché, semplicemente, Harry Potter non è in alto.
Sta quieto in basso, in mezzo a noi, con l'umiltà e la tenerezza che contraddistinguono la sua splendida autrice.
Come tonnellate di altri bambini al mondo, sono arrivata ad Hogwarts nel 2001, con l'uscita in sala del primo film, Harry Potter e la pietra filosofale. Mi ci aveva portato un'amica di mamma, la zia Stella. Rimasi talmente folgorata da desiderare il libro immediatamente (la mia passione per i libri è nata molto prima di quella per il cinema). E così via, libro e film, libro e film, libro e film, per DIECI ANNI della mia vita.
Il caso ha voluto che nel 2001 io avessi 11 anni. Come Harry.
Ne ho avuti 12 quando ne ha avuti 12 lui, e siamo venuti su insieme fino al momento in cui crescere non era più rimandabile.
Facciamo un passo indietro.
A 11 anni non ero una bambina felice.
Non sono stata felice a 12 anni, nè a 13, e non posso certo dire di esserlo ora.
La mia famiglia mi ha sempre fatta partecipe degli eventi che ci accadevano, fin da quando ero piccolissima. Ho convissuto in piena coscienza con problemi non indifferenti fin da quando so parlare.
Se state scrivendo un commento a proposito di queste affermazioni, fermatevi, per favore. Non è certo la vostra commiserazione il motivo per cui sto scrivendo questo ma per farvi comprendere a fondo il clima in cui la saga della Rowling si è trovata impiantata.
Perché questo ha fatto. Si è impiantata, come un seme. Il terreno a disposizione sembrava inaridito, iniziavo ad coltivare il cinismo che oggi porto con orgoglio. Ma una bambina di 11 anni non può mai essere cresciuta del tutto. In mezzo al terreno inasprito c'è sempre un angolino di prato verde. La Rowling l'ha trovato e ci ha coltivato su. Come un radbomante ha trovato il luogo in cui stava l'acqua e in cui la sua pianta sarebbe riuscita a crescere.
Il giovane prescelto a 11 anni scopriva che la sua orribile vita stava cambiando per sempre. Scopriva la magia! Scopriva che qualcuno gli aveva voluto bene. Di quel bene immenso che porta tua madre a morire pur di permettere a te di vivere. E proprio io, che vivo nel complesso di non essere mai amata da nessuno, che sono l'eterna seconda, che non riesco a dare per 'dovuto' nemmeno l'amore di mia madre, guardavo questo piccoletto rinascere forte dell'amore che anche lui aveva avuto, mentre un uomo gigante impiantava a sua volta una coda di maiale nel sedere del cugino.
E poi, l'arrivo a Diagon Alley, lo sguardo spalancato di Radcliffe affamato di bellezza, di inaspettato, di nuovo. Lui e io, insieme, guardavamo al domani come a qualcosa di meraviglioso, qualcosa di magico.
Passavano gli anni, e le cose continuavano a succedere nella mia vita. Ma, da quel Natale del 2001, ho avuto un'altra casa in cui rifugiarmi quando le pareti della mia sembravano stritolarmi sul letto: Hogwarts.
E se pensate che un libro non sia un'evasione sufficiente dai problemi, è perché non avete mai permesso ad un romanzo di entrarvi dentro.
Soprattutto se quel libro non ha pretesa di grandezza alcuna. Non ha pretesa di cambiare la vita, entra in punta di piedi nel tuo mondo, qualunque esso sia, ma finisce inevitabilmente per prenderne totale possesso.
E tu stai lì, a cercare di stare in equilibrio tra tutte le cose che ti accadono intorno, e pensi che vorresti solo stare chiuso in un angolo a piangere fino a perdere la voce. Ma perchè farlo? Ron non si lamentava, di vivere in una famiglia povera che non gli poteva garantire la lussuosa divisa nuova di pacca come quella di Malfoy. Hermione, vittima del 'bullismo' per via delle sue origini Babbane, non stava chiusa in bagno a piangere su se stessa.
Perché avrei dovuto io?
Indirettamente Harry Potter mi ha mostrato l'inutilità del piangersi addosso. Allo stesso tempo, mi ha illuminato su come una grandissima percentuale delle cose che accadono dipendono dal mio modo di prenderle. Lentamente, nel corso degli anni, si è insediato come principale spunto educativo, laddove figure più concrete di Albus Silente avevano fallito in precedenza.
Mi rendo conto che leggere certe parole sapendo che sono rivolte ad un mondo fittizio possa suonare bizzarro agli occhi di chi questo amore non l'ha vissuto. Ma Harry Potter è stato lì nel momento in cui avevo bisogno di appoggiarmi a qualcosa per non cedere, è stato il modo in cui ho appreso che se Hermione Granger poteva avere dei difetti, io potevo provare a perdonarmi per i miei. (Non ci riesco ancora, ma quanto ci provo). E' stato lì quando i miei problemi famigliari venivano surclassati da quel dolore che a 16 anni sembra immenso e che provi quando un determinato lui non ne vuole sapere di te. O quando litigavo con un amica e pensavo di avere perso il mio mondo.
Ma soprattutto, è a Harry Potter che devo la capacità (sempre in lavorazione, non si finirà mai di costruirla) di gestire il dolore.
Il dolore di non conoscere la propria famiglia, di non sentirsi apprezzato, di sentirsi solo, di incontrare finalmente quanto di più vicino ad un genitore e perderlo, di nuovo.
C'è tantissima sofferenza, in 7 libri.
Perchè sono la vita, in ogni suo aspetto.
E, facendoti sempre sognare la magia (anche ora, a 24 anni), sono stati l'amico costante, quello più vicino, quello che, pur non conoscendoti, ti conosce meglio di chiunque altro.
Non è mai atto solo un libro, è stato il mio rifugio.
Ed è per questo che quando la Rowling dice, alla prima dell'ultimo film, che 'Hogwarts will always be there to welcome you home', so esattamente che per me sarà sempre così.
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