Marisa Cossu in Poesia

Creato il 21 febbraio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

FINISCONO LE PAROLE

Finiscono le parole.

Le consuma la notte

nell’ aranceto dalle piante

incoronate di oscurità,

la notte di polvere nera

posata sui fossi della terra,

la notte del silenzio,

delle parole deposte nude

in un cesto di vimini

in un angolo dimenticato,

quando più nulla origina

dall’ interna passione,

non sale il canto essenziale

dalle zagare profumate.

Finiscono le parole

come spente fiammelle,

non significano nulla,

non pesano, non parlano,

vuote attendono che fiorisca

il giardino dello spirito,

che s’ illumini dei gialli

miracoli invocati.

Ora una dolce  tristezza

affonda radici nel ventre

oscuro e molle della terra;

sopra di me piante distorte

ed incompiuti tronchi

hanno voce di tempo

troppo antico per la memoria.

Anch’ io ho i miei frutti,

ma stanno per essere raccolti

da qualcuno che non conosco,

entrano in un’ altra storia,

mentre la mia anima fluttua,

si dissolve nella nera note.

L’ARCHEOLOGO

Riappropriarsi di sé,

lasciare ad altri

la vuota archeologia

della città di pietra;

la paura di vivere

edifica cortine

di pensieri d’ argilla

dove il tempo entra

con l’ immobile polvere

e le cose  rifugiano

l’ ultimo alito di poesia

nell’ombra che sovrasta le pietre

trasformate in memoria.

Dove il sottosuolo si apre

a nuove costruzioni,

posa mattoni di fantasia

sulle rovine e le ingiurie

tu ci sei; senza volto siedi

sui gradini del dubbio,

senti il vuoto alle spalle

e provi incerto e solo

l’ ansia per il futuro.

MEMORIA PERSA

Forse la vita terrà in serbo per me

l’ amaro tempo della memoria persa,

l’ assenza dei ricordi

che labili scompaiono nel vuoto

di una parete bianca;

brandelli, lampi di esistenza

trascorsa a inventarmi il futuro,

ad imparare ad apprendere parole,

il senso delle cose e dell’ amore;

quando a esistere sarà solo lo sforzo

di altri a nominare ciò che è mio ,

a dirmi che allo specchio è la mia ombra

disseccata dal tempo dell’ oro

in cui splendeva il sole e l’ armonia,

a scavare gli affetti che provavo

nella mia indifferente estraneità;

quando  Il presente si svuota di memoria,

l’assenza riempie l’ arco delle ore

pallide nell’ attesa del nulla che verrà.

So che è così, perché mia madre

mi chiamava ” mamma” e m’ implorava

di condurla a casa da quel luogo

non suo, non più pensato.

PERIFERIE

Le strade della mia città

portano al mare,

si attorcigliano

in vicoli di pietra,

s’ inoltrano in piccole piazze,

attraversano la consuetudine

dei passi in ricordi di tenerezza.

Rassomiglio a quei vicoli,

nasco da quelle pietre,

dall’ odore salmastro dei muri scoloriti.

Il cuore è il Borgo:

qui non ho mai pensato

che vi fosse, oltre le necropoli,

la vasta periferia di tufo,

il cemento dei palazzi allineati

in file di alveari;

non ho mai pensato a quei luoghi

come ad una estensione della mia vita;

eppure dai quartieri arrivano

frotte di allegri ragazzi,

si riversano nelle arterie fino al cuore

con essenziale energia;

eppure di notte le case di tufo

racchiudono sogni di vite nuove,

accendono lampade nei viali

per dichiarare che esistono,

si allineano ora ai pensieri

nella periferia della mia anima.

Featured image, Gaetano Previati, Il sogno 1912

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