FINISCONO LE PAROLE Finiscono le parole.
Le consuma la notte
nell’ aranceto dalle piante
incoronate di oscurità,
la notte di polvere nera
posata sui fossi della terra,
la notte del silenzio,
delle parole deposte nude
in un cesto di vimini
in un angolo dimenticato,
quando più nulla origina
dall’ interna passione,
non sale il canto essenziale
dalle zagare profumate.
Finiscono le parole
come spente fiammelle,
non significano nulla,
non pesano, non parlano,
vuote attendono che fiorisca
il giardino dello spirito,
che s’ illumini dei gialli
miracoli invocati.
Ora una dolce tristezza
affonda radici nel ventre
oscuro e molle della terra;
sopra di me piante distorte
ed incompiuti tronchi
hanno voce di tempo
troppo antico per la memoria.
Anch’ io ho i miei frutti,
ma stanno per essere raccolti
da qualcuno che non conosco,
entrano in un’ altra storia,
mentre la mia anima fluttua,
si dissolve nella nera note.
L’ARCHEOLOGO
Riappropriarsi di sé,
lasciare ad altri
la vuota archeologia
della città di pietra;
la paura di vivere
edifica cortine
di pensieri d’ argilla
dove il tempo entra
con l’ immobile polvere
e le cose rifugiano
l’ ultimo alito di poesia
nell’ombra che sovrasta le pietre
trasformate in memoria.
Dove il sottosuolo si apre
a nuove costruzioni,
posa mattoni di fantasia
sulle rovine e le ingiurie
tu ci sei; senza volto siedi
sui gradini del dubbio,
senti il vuoto alle spalle
e provi incerto e solo
l’ ansia per il futuro.
MEMORIA PERSA
Forse la vita terrà in serbo per me
l’ amaro tempo della memoria persa,
l’ assenza dei ricordi
che labili scompaiono nel vuoto
di una parete bianca;
brandelli, lampi di esistenza
trascorsa a inventarmi il futuro,
ad imparare ad apprendere parole,
il senso delle cose e dell’ amore;
quando a esistere sarà solo lo sforzo
di altri a nominare ciò che è mio ,
a dirmi che allo specchio è la mia ombra
disseccata dal tempo dell’ oro
in cui splendeva il sole e l’ armonia,
a scavare gli affetti che provavo
nella mia indifferente estraneità;
quando Il presente si svuota di memoria,
l’assenza riempie l’ arco delle ore
pallide nell’ attesa del nulla che verrà.
So che è così, perché mia madre
mi chiamava ” mamma” e m’ implorava
di condurla a casa da quel luogo
non suo, non più pensato.
PERIFERIE
Le strade della mia città
portano al mare,
si attorcigliano
in vicoli di pietra,
s’ inoltrano in piccole piazze,
attraversano la consuetudine
dei passi in ricordi di tenerezza.
Rassomiglio a quei vicoli,
nasco da quelle pietre,
dall’ odore salmastro dei muri scoloriti.
Il cuore è il Borgo:
qui non ho mai pensato
che vi fosse, oltre le necropoli,
la vasta periferia di tufo,
il cemento dei palazzi allineati
in file di alveari;
non ho mai pensato a quei luoghi
come ad una estensione della mia vita;
eppure dai quartieri arrivano
frotte di allegri ragazzi,
si riversano nelle arterie fino al cuore
con essenziale energia;
eppure di notte le case di tufo
racchiudono sogni di vite nuove,
accendono lampade nei viali
per dichiarare che esistono,
si allineano ora ai pensieri
nella periferia della mia anima.
Featured image, Gaetano Previati, Il sogno 1912