Marissa Mayer è stata nominata CEO di Yahoo! e ovviamente già di per sè una grande notizia, resa ancora più grande dal fatto che la Mayer è anche incinta. E in Italia, soprattutto, si sono stupiti tutti non solo per il fatto che sia al comando di una grande azienda, ma anche perchè sia incinta. Una storia favolosa, ma da noi non sarebbe mai successo
Marissa Mayer è il nuovo amministratore delegato di Yahoo! Per la precisione è il quinto amministratore delegato in cinque anni dopo il lincenziamente di Scott Thompson due mesi fa, dovuto – si dice – al fatto di aver falsificato il titolo dilaurea nel suo curriculum. E il suo compito è arduo, dal momento che il colosso del web Yahoo! fa fatica a risollevarsi dalle difficoltà economiche e dalle problematiche interne. Marissa ha solo 37 anni e un curriculum eccellente, da primato. Ex vicepresendente di Google, è stata la prima donna assunta a Mountain View nel 1999 e una dei primi venti dipendenti dell’azienda, contribuendo alla nascita del motore di ricerca e di Gmail. Si è laureata a Stanford, nel 2009, ha ricevuto una laurea honoris causa dall’Illinois Institute of Technology ed è stata classificata dal Forbes tra le 50 donne più potenti del mondo. La più giovane che sia mai entrata in quella classifica.
Ma non è solo giovane, potente e ai vertici di un colosso. Marissa aspetta un bambino che verrà alla luce intorno al 7 di ottobre. Lo ha rivelato lei stessa, attraverso il suo account di Twitter, nelle stesse ore in cui è circolata la notizia della sua nomina. Risultato? Una stretta di mano e un benvenuto da parte del Board di Yahoo!.
E sul Social Network più di 2.700 retweet dagli utenti di tutto il mondo.
In Italia, un flusso di post tanto elevato da restare Trending Topic per una giornata intera. Perché in Italia ci si è chiesti subito e ci si continua a chiedere se una storia come quella della Mayer sarà sempre una favola. Donna, giovane, potente, ai vertici di un colosso del web. E incinta. Concetti impossibili da far coesistere nel nostro paese.
Secondo l’indagine del Cerved Group su “Le donne al vertice delle imprese”, in Italia la presenza di donne al comando è ancora estremamente bassa. E’ donna il 16% dei dirigenti e solo il 9% degli amministratori delegati. Di queste, solo una su cinque ha meno di 45 anni, rimanendo “nettamente più giovani dei loro colleghi uomini”. Anche tra i dirigenti più giovani, la parità uomo-donna è ben lontana: sono di genere femminile il 22% degli executive sotto i 35 anni, il 19% tra quelli sotto i 45 e solo l’8,7% in età superiore ai 65.
Ma non è l’età il dato più preoccupante in Italia. Il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro è costantemente il più basso d’Europa. Al contrario, l’Italia svetta nella classifica Eurostat relativa al tempo dedicato al lavoro domestico. E la mancanza di servizi di supporto all’attività di cura dei figli è la principale delle cause del mancato ingresso di donne nel mondo del lavoro.
E quando invece le donne ci arrivano, al ruolo di potere sul lavoro? Non è una novità venire a sapere che sono le donne stesse a rinunciare spesso a carriere brillanti, a fare un passo indietro pur di non vivere la quotidianità demotivante e logorante della competizione col “sesso forte”.
Un retaggio ancestrale nella nostra cultura che fa sì che le donne molto in gamba, quando acquisiscono anche potere decisionale sul lavoro, diventano “scomode”. Pregiudizi, certo, ma ricorrenti.
E’ noto purtroppo che ancora oggi una donna intelligente – magari pure di bella presenza come Marissa – che raggiunge una posizione di potere spaventa l’uomo. La società stessa – uomini e donne, perché le donne tra loro certo non hanno certo minori pregiudizi e minor competizione – preferisce il gentil sesso quando “è bravo abbastanza” rispetto a quando “è talmente bravo che spiazza” e fa paura.
La Riforma di questo giorni sul Mercato del Lavoro ha, tra i suoi obiettivi, “favorire l’equità di genere e una cultura di maggior condivisione del compito di curare i figli”. Per poter conciliare i tempi di vita e i tempi di lavoro. Viene introdotto il congedo di paternità obbligatorio e vengono finanziate specifiche iniziative a favore delle madri lavoratrici.
Ai neopapà verranno concessi fino a 3 giorni per occuparsi del bambino. Nei Paesi Scandinavi – ricordiamolo – si possono superare per legge le 2 settimane.
Per il mercato del lavoro e la cultura italiana la storia di Marissa Meyer sembra dunque impossibile da immaginare. Marissa Mayer potrebbe rappresentare la paladina del progresso delle donne. Non solo per la sua assunzione, ma anche perché ha dichiarato pubblicamente al Fortune che la sua assenza per maternità durerà solo poche settimane e che, in ogni caso, continuerà a lavorare anche da casa.
Il board di Yahoo! dovrà fare solo poche variazioni in sua assenza. Ad esempio spostare le riunioni di lavoro dalla sede di New YorK alla California, dove si trova la casa di Marissa. Lei, in ogni caso, potrà contare su orari flessibili di lavoro e, naturalmente, sulla tecnologia che oggi permette di rimanere in collegamento anche da fuori ufficio.
Perché “essere in ufficio” non significa necessariamente “lavorare”. E questo lo sappiamo anche in Italia. Solo che in Italia – dati alla mano – a parità di curriculum le aziende preferiscono assumere un uomo. E le donne sono discriminate. Per poi rendersi conto che la stragrande maggioranza delle proprie colleghe, appena incinte, spariscono per almeno un anno e mezzo, lamentando (tutte) una gravidanza a rischio. E quando tornano sognano il lavoro part-time.
Se il segreto di Marissa per conciliare gravidanza e lavoro sta nella flessibilità e nella tecnologia, forse dovremmo pensare che il primo cambiamento possibile, sul mercato ma ancora prima nella società e nella cultura del lavoro, sta nella capacità di avere voglia di uscire dalle lamentele.
Il binomio lavoro e maternità è qualcosa di inconciliabile, ancora oggi, ma almeno riguardo ai pregiudizi all’italiana siamo noi ad essere responsabili.
E il cambiamento deve partire da noi.
Secondo voi il caso di Marissa Mayer è davvero destinato a rimanere un sogno in Italia?