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Marley

Creato il 20 giugno 2012 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Marley

 

Anno: 2012

Distribuzione: Lucky Red 

Durata: 140′

Genere:  Documentario

Nazionalità: Gran Bretagna/USA

Regia: Kevin Mcdonald

 

La stagione in corso verrà ricordata come contraddistinta dai biopic musicali. Ad aprire le danze è stato Cameron Crowe con Pearl Jam Twenty (2011), sentita ricostruzione dei vent’anni di carriera della band di Seattle. A ruota arriva Marley (2012), a sua volta minuziosa cronistoria dell’icona reggae Bob Marley, diretta dallo scozzese Kevin Mcdonald, cineasta conosciuto ai più per il pluripremiato L’ultimo Re di Scozia (2006).

Una tendenza, quella dei documentari musicali, a pensarci bene comprensibile: in un mondo in cui non escono più grandi dischi, e di conseguenza non si affermano band o solisti che valga la pena ricordare, diviene naturale rivolgersi al passato. Quando un album era ancora tale perché composto, inciso e prodotto, per essere venduto. Non per trasformarsi, nel giro di poche ore, in un click gratuito su una tastiera. Lontane anni luce per quanto concerne le sonorità e i generi musicali trattati, entrambe le pellicole citate possono essere avvicinate se ci si sofferma sul sentimento che a monte le alimenta: un’appassionata sincerità di racconto, capace di travolgere qualunque cosa. Tanto nel bene quanto nel male. Sia Crowe che Mcdonald inscenano molta storia e poco cinema, tanta ricostruzione e zero fiction, sebbene Pearl Jam Twenty come Marley, del resto, parlino di fatto la lingua dei rispettivi registi.

 

Marley

 

Si prenda, ad esempio, l’incipit di quest’ultimo: il ricordo schiavista che ne muove le fila, oppure l’intrecciarsi politico della parabola artistica di Marley, una volta “conteso” tra destra e sinistra giamaicana, l’altra testimone dell’indipendenza dello Zimbabwe. Indizi che non possono non rimandare a L’ultimo Re di Scozia, tracce che evidenziano una linea poetica tra le righe della storia vera. Più che all’immagine del personaggio, Mcdonald sembra interessato all’uomo Marley: alle qualità musicali come ai difetti terreni, quasi voglia spogliarlo dell’effige su una t-shirt che la storia gli ha consegnato postuma. Marley capace di uscire dalla bidonville di Trenchtown grazie alla musica, Marley il rivoluzionario frequentato volentieri dall’upper class, ma anche Marley il poligamo. Così simile allo sconosciuto e criticato padre, nell’approcciare alla relazione di coppia e nello sfornare figli.

Il gioco dell’equilibrista funziona, esaltando la natura stessa del suo contraddittorio protagonista: “meticcio” di nascita e, forse, proprio per questo involontariamente a suo agio nelle situazioni di mezzo, eroe del popolo povero che non disdegna la compagnia altolocata nella sua nuova villa di Kingston, musicista di colore apprezzato dai bianchi e troppo tardi scoperto dai neri, nonostante principalmente a loro cercasse di rivolgersi.

 

Marley

 

Pur non cancellando del tutto i tratti iconografici di Marley, quindi, Mcdonald mira a scavare dentro il santino popolarmente riconosciuto. E vi riesce, sviscerando pro e contro di una personalità accentratrice, ideologicamente democratica ma professionalmente votata al comando, alla dittatura artistica; cedendo alla santificazione solo sullo scorrere dei titoli di coda. Epilogo invero atteso con impazienza, perché se di qualcosa si può davvero incolpare Marley è l’eccessivo minutaggio: 140 minuti per raccontare 36 anni di vita sono, oggettivamente, eccessivi.

Luca Lombardini          

Marley
Scritto da il giu 20 2012. Registrato sotto IN SALA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione


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