Magazine Cinema
La trama (con parole mie): dalle origini rurali al ghetto di Trench Town fino agli stadi gremiti in tutto il mondo, uno sguardo approfondito sulla vicenda umana e musicale di una delle icone pop del ventesimo secolo, l'artista che ha segnato il successo del reggae ed ispirato generazioni intere di ascoltatori, musicisti ed appassionati.Una fotografia traboccante emozione e musica che passa attraverso le testimonianze di compagni, parenti, figli, donne, produttori e filmati di repertorio tratti da concerti ed interviste in grado di dare uno spessore nuovo non solo al personaggio, ma soprattutto alla persona Bob Marley: non soltanto, dunque, l'idolo delle masse, ma anche il padre, il convinto rastafariano, l'amico, l'amante, l'Uomo.Dall'Africa agli States, dalla Giamaica all'Inghilterra, l'ascesa e la morte di uno dei più grandi comunicatori che la Musica abbia mai conosciuto.
Kevin MacDonald è da parecchio tempo, ormai, una piccola certezza di casa Ford, soprattutto per quanto riguarda il documentario: il giovane regista nativo di Glasgow, infatti, più noto per i lungometraggi State of play, The eagle e L'ultimo re di Scozia, dalle mie parti si è fatto notare per gli splendidi La morte sospesa e One day in September, incentrato sulle drammatiche vicende che turbarono il clima di festa nel villaggio olimpico a Monaco '70.Con Marley si segna il suo ritorno al format che gli è più congeniale, e che fin dalle prime battute si conferma come una scelta quanto mai azzeccata per il cineasta in ottica di un suo ritorno ufficiale nelle schiere del lato più "autoriale" della settima arte: le panoramiche a volo d'uccello sugli splendidi paesaggi giamaicani, così come le interviste per le strade del minuscolo borgo di St. Anne - luogo di nascita del meticcio Robert Marley, padre vecchio soldato anglosassone, madre giovanissima e nativa del luogo, fino al momento del successo spesso e volentieri rifiutato proprio per la sua diversità di "mezzosangue" - fanno intendere da subito che il buon Kevin ha intenzione di portare a casa - e nei cuori degli spettatori - un lavoro con tutti gli attributi al loro posto, regalando una vera e propria perla non soltanto ai fan del più grande interprete della storia della musica reggae o della musica in genere, ma anche agli appassionati di Cinema e a chi, per quanto difficile possa suonare, dell'autore della celeberrima No woman no cry conosce poco o nulla.La cosa interessante - oltre ai numerosissimi filmati di repertorio recuperati da concerti, interviste, servizi dell'epoca - è l'intenzione di MacDonald di presentare non soltanto il Bob Marley personaggio, cantante ed icona della scena musicale internazionale, ma anche la sua storia, dall'infanzia alla morte, il legame con i precetti rastafari, il rapporto con la moglie Rita e tutte le altre donne della sua vita - undici eredi da sette unioni diverse, di sicuro non era il tipo da farsi troppi problemi in questo senso -, il legame con i figli - in particolare Ziggy, cantante anch'egli pur se non noto quanto il padre, e Cedella -, i viaggi e la scoperta del mondo nonchè la condotta rispetto alla scena politica giamaicana, complessa e molto violenta soprattutto sul finire degli anni settanta.Con un tocco assolutamente leggero che mi ha ricordato quello di Jonathan Demme nel meraviglioso The agronomist - e le due sequenze legate alla visita giamaicana di Hailè Selassiè, icona del rastafarianesimo, e del ritorno dello stesso Marley in patria dopo il suo "esilio" ricordano non poco quella che vide protagonista ad Haiti Jean Dominique -, MacDonald prende per mano l'audience per le strade di Kingston così come nei più gremiti degli stadi europei - alcuni tra noi ricorderanno, e avranno avuto la fortuna di assistere, alla sua storica performance a Milano, nello stadio di S. Siro, il 27 giugno del 1980 - senza risparmiarsi nulla a proposito del carismatico leader dei Wailers, dall'infanzia nel ghetto fino al complicato rapporto con i suoi primi compagni di band, dai successi locali all'affermazione planetaria che lo vide sconvolgere la scena musicale globale come pochi altri avevano fatto - e faranno -: personalmente, malgrado le mie influenze siano sicuramente più rock, ho sempre amato la musica reggae e ska pur non condividendo praticamente per nulla i rigidi precetti rastafari e la visione piuttosto impostata rispetto alle donne e alla religione, eppure nonostante l'importanza politica e mediatica del personaggio, ho trovato innovativa ed assolutamente potente la parte di questo film dedicata al Bob Marley uomo e padre, appena accennata eppure clamorosamente profonda e complessa.Le parole di Ziggy - che racconta di quanto il genitore fosse rigido, o di come, nelle gare di corsa con loro sulla spiaggia se ne fregasse del fatto di vedersela con dei bambini mettendo tutto se stesso in modo da arrivare alla vittoria - e di Cedella - che si chiede come sia stato possibile per sua madre Rita accettare di buon grado tutte le infedeltà del marito considerandole parte del loro rapporto, o di quanto le sia mancato un padre presente anche quando, di fronte al suo letto di morte, capì che sarebbe stato impossibile trovare un momento che fosse soltanto loro - rendono vivida e credibile una figura forse più nota come simbolo su bandiere e t-shirt, passata alla Storia - almeno in Occidente - come fosse fondamentale nella crociata per la liberalizzazione delle droghe leggere - crociata che condivido, ma che appare superficiale rispetto alla vita e alla cultura dell'uomo e dell'artista in questione -.Bob Marley non era perfetto, anzi: accanto alla sua ferrea volontà di ricerca di un mondo all'interno del quale potesse essere possibile la pacifica coestistenza tra le razze e le culture vi era un ragazzo estremamente ambizioso - nonostante lui stesso dichiarasse il contrario -, dall'incontenibile voglia di vincere ed arrivare al successo, fianco a fianco con la passione sfrenata per la vita - la musica, le donne, il calcio, l'erba - un distacco quasi glaciale dai figli, dalle compagne più importanti, dagli amici e dai musicisti, quasi fosse promesso a qualcosa di più grande, dalla necessità di lottare accanto al suo pubblico alla scelta di trascurare una ferita che avrebbe potuto salvargli la vita dal tumore che l'ha portato via, combattuto troppo tardi e troppo frettolosamente.Ma il bello è proprio questo: perchè - e non me ne vogliano il vecchio Bob ed i suoi compagni rastafariani - l'ideale fatto uomo, la divinità, l'icona, non esiste.Esiste l'umanità profonda di quello che è stato a suo modo un profeta, e senza dubbio uno dei più grandi comunicatori che la Musica abbia mai conosciuto.Get up, stand up, Bob.Don't give up to fight.E qui dalle mie parti non si smette mai di lottare. E di Resistere.
MrFord
"Emancipate yourselves from mental slavery;
none but ourselves can free our minds.
Have no fear for atomic energy,
'cause none of them can stop the time.
How long shall they kill our prophets,
while we stand aside and look? Ooh!
Some say it's just a part of it:
we've got to fulfill the Book.
Won't you help to sing
These songs of freedom?
'Cause all I ever have:
Redemption songs,
redemption songs,
redemption songs."Bob Marley - "Redemption song" -
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