E inizia a raccontare. Racconta la sua vita, una vita faticosa, tutta in salita.
Dalla sua prima vacanza terapeutica in Italia al ruolo di figlia, di madre e di sorella, il racconto di una vita tutto incentrato sulla necessità di capire. Una necessità intima, assoluta, che diventa il senso stesso di un’intera esistenza.
Incipit:
“Distretto di Lelchitsy, 10 ottobre 2077
Avevo quasi otto anni la prima volta che arrivai in Italia.
Pochi per capire cosa stavo vivendo e le conseguenze che quel viaggio avrebbe avuto su di me per il resto della vita. Pochi per capire che non esisteva più solo un mondo, quello che era stato il mio fino ad allora, ma infiniti mondi, infiniti microcosmi intrecciati tra di loro o destinati a non incrociarsi mai.
Eppure ero abbastanza grande da conservare un ricordo nitido di quel 4 giugno. Un ricordo che mi avrebbe accompagnato, sostenuto e consolato per sempre.
Nei miei ricordi di bambina prima, di donna poi e di vecchia ora, di quel giorno ricordo tutto. Ricordo innanzitutto la mia diffidenza. Non capivo perché una famiglia volesse ospitare in casa propria una bambina mai vista, che veniva da un Paese lontano, che parlava una lingua diversa. Mi chiedevo perché volessero una bocca in più da sfamare.
E poi io non volevo andare. Per quanto stessi male a casa mia, quella era la mia casa, il mio mondo. L’unico che avessi mai conosciuto. L’unico che credevo esistesse.”
Un diario è quello che la protagonista, Lyudmila, ci regala. Un fiume di parole, una sequenza di flashback dal sapore dolce amaro. Quello che colpisce è la lucida semplicità, a tratti spigolosa, con cui l’autrice ci restituisce il dramma dell’essere nati dalla parte sbagliata del mondo. A emergere è soprattutto la figura di una donna che cerca di affrancarsi da un destino che sembra ineluttabile e che pare piegarla. In realtà, Lyudmilla non può fare a meno di ripercorrere, pur non volendolo, il destino di sua madre, sopportando violenze domestiche indicibili, ma dalla sua ha avuto la possibilità di conoscere un altro modo di vivere, quello italiano, grazie ai soggiorni terapeutici organizzati per i bambini di Chernobyl. E proprio quelle dieci estati trascorse in Italia rappresentato per lei la prova che un altro mondo è possibile. E lei ci proverà a costruirne uno diverso, nel suo paese natale, per lei e per le proprie figlie, concedendosi anche il balsamo rinfrancante del perdono, per se stessa e per sua madre, colpevole, o forse no, di aver abbandonato in un istituto, l’ultimo dei suoi figli, nato ritardato.
Ad addolcire le sue memorie, il ricordo costante delle merende estive nella famiglia affidataria italiana: marmellata di prugne su pane tostato. Il gusto agro della vita.