Di Gabriella Maddaloni. Il Marò Massimiliano Latorre è rientrato in Italia, precisamente a Grottaglie, nella sua Puglia, poche ore fa. Ad attenderlo all’aeroporto alla Stazione elicotteri della Marina militare c’erano il ministro della Difesa Roberta Pinotti e i Capi di Stato Maggiore, Luigi Binelli e Giuseppe De Giorgi.
Il fuciliere ha poi riabbracciato i familiari, tra cui la figlia Giulia che si è dichiarata “felicissima che sia in Italia, spero che si riprenda e che stia meglio. Finalmente staremo con papà tutti insieme noi figli”. Il Marò ha ottenuto di poter rientrare in patria per 4 mesi dopo che i suoi legali avevano presentato richiesta alla Corte Indiana, per via dell’ischemia che lo ha colpito il 31 agosto scorso. I motivi legati alla salute e al recupero gli hanno fatto ottenere senza troppa difficoltà quanto richiesto dagli avvocati. Il tribunale di New Delhi ha però preteso garanzie scritte per il ritorno in India del fuciliere, tanto dal governo italiano che dallo stesso Latorre.
Laura Boldrini, presidente della Camera, ha così commentato il rientro del fuciliere pugliese: “Si deve fare in modo che la vicenda dei marò si risolva. Il rientro a casa di Latorre è certamente una cosa positiva, ma servono tempi certi sulla definizione del caso. Indipendentemente dal fatto che siano o meno colpevoli, non si capisce perché non c’è stata una presa di posizione chiara delle autorità indiane e perché ci sono stati tutti questi rinvii”.
E Salvatore Girone? Cosa ne pensa il collega e compagno di sventure di Latorre rimasto in India? Secondo Massimo Di Giannantonio, psichiatra e docente di psicologia all’università “D’Annunzio” di Chieti, non ci sarebbe di che preoccuparsi. “Girone non accuserà alcun contraccolpo psicologico. La sua reazione psicologia è improntata a una dimensione di fiducia e speranza, perché il marò non è solo. È in ambasciata e ha migliaia di italiani che ogni giorno gli dimostrano vicinanza. Vivrà uno stato di ‘serendipity’, nutrendo fiducia per il miglioramento delle condizioni progettuali prospettiche della vicenda, perché con il ‘sì’ della Corte suprema indiana è stata data prova concreta del fatto che le ragioni cliniche e umanitarie prevalgono su quelle militari e politiche”.