Arrivano segnali distensivi dall’India, nell’intricata vicenda che coinvolge ormai da oltre un anno i marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
Il ministro degli esteri indiano Sushil Kumar Shinde, dalle pagine del quotidiano Economic Times, ha rassicurato che l’India non applicherà, in caso di condanna dei due militari italiani, la pena massima prevista dall’ordinamento indiano, appunto quella capitale. L’impegno era stato preso informalmente dal governo indiano, ma mancavano basi giudiziarie solide per poterlo esplicitare; basi che sono state trovate in una clausola della sezione 24c dell’Extradition Act del 1962, “Disposizione di ergastolo invece di pena di morte”. “In deroga a quanto possa essere contenuto in qualsiasi altra legge attualmente in vigore, laddove un imputato profugo, che ha commesso un reato estradabile punibile con la pena di morte in India, viene consegnato o restituito da uno Stato straniero su richiesta del governo centrale e se le leggi dello Stato straniero non prevedono la pena di morte per quel reato, l’imputato profugo sarà soggetto solamente all’ergastolo”. Un articolo che sembra calzare molto con la situazione italiana, nel cui Stato non è prevista la pena di morte e che pertanto vedrebbe, in caso di colpevolezza dei marò ed eventuale condanna alla massima pena, una detenzione a vita.
Intanto però, continuano a rimanere segnali d’incertezza sull’iter giudiziario che interessa la vicenda, dopo che erano circolate voci sul fatto che potesse essere l’Agenzia nazionale di investigazione (Nia) indiana, ovvero la polizia antiterrorismo, ad occuparsi del caso.
Nel frattempo, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha oggi incontrato il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, con il quale si è intrattenuto sulla vicenda dei marò. Lo stesso Ban Ki Moon, interrogato dai giornalisti sulla vicenda, ha detto di sperare “che il caso venga risolto armoniosamente, giudiziosamente, con il dialogo”.
Articolo di Silvio Carnassale.