Nominati con il loro album di debutto The Days That Shaped Me (2011) nella categoria “Best Folk Duo 2012” ai BBC Radio 2′s Folk Awards, Marry Waterson e Oliver Knight tornano con un altro lavoro in stile low-key folk.
Sorella e fratello, appartenenti a una delle più note dinastie musicali d’Albione in quanto figli della leggenda Lal Waterson, con Hidden si allontanano dai temi personalissimi del primo lavoro per creare attorno a diversi personaggi undici storie di inganni, segreti, elusioni e falsità. L’intento dichiarato della Waterson è quello di fare in modo che lo stile e il tono di ogni brano riflettano il personaggio di cui parla. Dal punto di vista strettamente musicale questo lavoro è più diversificato rispetto al precedente, perché riesce a tessere inserti di ragtime, ska e music hall nella trama folk.
Nonostante l’intervento vocale di Eliza Carthy (folk singer della stessa dinastia) in “Going, Going, Gone”, l’inizio complessivo dell’album si direbbe in sordina, forse non aiutato dalla sofferenza espressa dal testo di “I’m In A Mood”, brano che apre il disco. Di seguito, “Gormandizer” illustra perfettamente quelle intenzioni di Marry alle quali prima s’accennava e s’abbellisce di un organo Hammond suonato dal multistrumentista Reuben Taylor degli Athletes. “I Won’t Hear” muta all’improvviso il tono generale con una virata ska, mentre un piano music hall dà vita al motivo orecchiabile di “Scarlet Starlet”, che parla della vulnerabilità del protagonista della canzone, che si nasconde dietro il falso coraggio tipico del performer. “Love Song To A Lyric” è molto convincente e si stempera nella seconda parte in un ritmo (ancora) ska. “Professional Confessional” e “Sustained Notes” sembrano i brani più introspettivi e coerenti, quelli dove musica e parole si completano meglio nel loro essere entrambe dolci e amare allo stesso tempo. “Russian Dolls” è interessante e ironica, anche grazie al riuscitissimo a cappella di Boyes, Cope e Simpson, rinomato trio inglese di vocal folk. Da aggiungere alla lunga lista di ospiti di qualità che arricchiscono questo lavoro anche Martin McCarthy (altro illustre membro del clan Waterson) in “Benign”, la batteria di Pete Flood (Bellowhead), il contrabbasso di Miranda Sykes (Show Of Hands) e il violoncello di Barney Morse Brown (The Imagined Village). Probabilmente Hidden non riesce a rendere subito a un primo ─ magari distratto ─ ascolto, perché ha bisogno di attenzione per essere apprezzato e per far sì che si possa godere di tutti questi contributi: un folk dal sentore in apparenza pop, nel quale le canzoni sono racconti tristi e molto complessi che vengono stranamente edulcorati dalla chitarra di Knight, oltre che – appunto – dalle innumerevoli ed eccellenti collaborazioni che punteggiano tutto il disco. La voce della Waterson è limpida e senza compromessi, con una certa malinconica secchezza che fa risaltare il fortissimo intento low-key che il duo ha anche in quest’album.