Magazine Per Lei
In effetti è piuttosto strano. Sono in terapia perché sono obbligata a farla e quindi la prima cosa strana è la difficoltà a trovare un obiettivo, un motivo che non sia “mi ci hanno mandato”. Certo, chiunque abbia studiato psicologia, prima o poi si trova a dover fare i conti con se stesso e con la possibilità di avviare un percorso di terapia e anche io ci ho pensato spesso. Ma il fatto di non essere mai arrivata a fare questa scelta evidentemente significa che non ne ho mai sentito il reale bisogno.
Questo non significa che pensi che sia inutile. Anzi! Sono perfettamente consapevole di avere milioni di questioni irrisolte e aperte con me stessa e con i miei fantasmi e sono fermamente convinta che questo percorso mi sarà utile, come persona, come donna, come futura psicoterapeuta.
Abbiamo iniziato a lavorare con un gruppo di ragazze del mio corso, ma dopo qualche tempo il gruppo si è un po’ ridotto al punto che eravamo rimaste in 5. In queste condizioni, il rischio è che, se qualcuno è assente, il gruppo si riduca veramente ai minimi termini e così la nostra terapista ci ha proposto di unirci ad un altro gruppo, numericamente vicino al nostro, in modo da creare un gruppo più corposo di almeno 8 persone per volta. Secondo lei questo ci avrebbe aiutato a lavorare meglio, dato che la numerosità del gruppo favorisce il lavoro di tutti.
Non sono stata contraria a priori, mentre alcune colleghe si sono sentite inizialmente più in difficoltà, all'idea di dover condividere i fatti propri con un gruppo di persone sconosciute, e anzi ho affrontato l'incontro di oggi con la curiosità di incontrare nuove persone e di fare un'esperienza diversa.
E, in realtà, fino ad oggi non mi ero resa conto di quanto la nostra terapista avesse ragione!! Come gruppo, noi colleghe avevamo iniziato ad appoggiarci e rifletterci l'una nell'altra ed eravamo arrivate, secondo me, ad un punto di stallo.
Stesse esperienze, stessi feedback, stesse sensazioni, stesso mondo... possibile??
No! Probabilmente ci stavamo solo proteggendo. Era rassicurante e confortante sapere di poter navigare all'interno di un mare conosciuto e di potersi confrontare con occhi che ci rimandavano l'immagine di noi stesse: di fatto, se avessimo continuato così, secondo me non saremo arrivate da nessuna parte.
Il gruppo allargato, invece, ha portato nuove persone, nuovi punti di vista (anche quello di un uomo, finalmente!), esperienze ed emozioni diverse, vita. Ne sono uscita con nuovi spunti e nuove cose su cui riflettere e con la consapevolezza che se voglio lavorare su me stessa devo prendere più fortemente in mano la responsabilità di farlo e farmi avanti davanti a me stessa e al gruppo.
Certo, non è stato per tutti così. Alcune, ancora, risentono della paura del giudizio, della paura di esporsi davanti a persone che non conoscono e stanno pensando alla possibilità della terapia individuale. E qui, stamattina, ho capito perchè, nella nostra situazione, anche professionalmente, la terapia di gruppo è più utile di quella individuale: proprio per la possibilità di esporsi al giudizio ed imparare a superarlo. Ma anche per imparare a sospenderlo ed imparare che siamo alla fine noi i primi giudici di noi stessi.
Lo saremo anche quando avremo dei pazienti, che saremo portati a giudicare e da cui ci sentiremo giudicati. Esercitarci alla sospensione del giudizio non può che farci bene e non so se in terapia individuale questo processo si possa portare avanti fino in fondo: alla fin fine il MIO terapeuta sarà sempre qualcuno a cui posso dire tutto, che mi abbraccerà sempre e mi accoglierà fino in fondo.
Non è questo l'obiettivo in questo momento, non il mio almeno, ma capisco che alcune delle colleghe sentano il bisogno di un confronto individuale all'interno del quale mettersi faccia a faccia con le personali questioni aperte.
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