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Mary Lou

Creato il 19 aprile 2014 da Violentafiducia0

Tramutarsi in fantasma
è una soluzione
che vi raccomando freddamente.

Nina Cassian

*

Stiamo bene, Mary Lou. Voglio che stiamo bene, dopotutto ce lo meritiamo. Possiamo cominciare a stare bene quando ci pare. Adesso per esempio. Che importa se non siamo stati felici? O se lo siamo stati? Ti ricordi quando ti dicevo che mi piaceva il tuo vestito blu, con quella gonna ampia che ti arrivava fino alle caviglie e i piccoli fiori che si sparpagliavano sul tessuto? Eravamo al parco e tu facevi la ruota, girando su te stessa, col vento che ti scopriva le gambe.

Te lo ricordi, Mary Lou?

Ho voglia di stare bene. E che tu stia bene. Perché sento che sto scomparendo e non riesco a sopportarlo. La mattina mi guardo le mani e sono sempre più gonfie, lo sento che mi sto riempiendo d’aria e che tutto il resto sta collassando su sé stesso. Il cuore, il fegato, i polmoni, non ho più niente che sappia funzionare qua dentro, niente che faccia il suo cazzo di dovere. E tu te ne vai, mi dici che torni subito, lo dici come se ti fossi scordata di fare una cosa importante, come comprare il pane, e invece te ne vai e basta. Non mi chiami, non mi scrivi, niente.

Lane è venuta a portarmi da mangiare l’altro giorno, aveva preparato lo spezzatino di vitello. I pezzi di carne galleggiavano in una brodaglia marroncina insieme a cose verdi e rosse che non ho saputo riconoscere. Mi ha gridato qualcosa dalla porta d’ingresso ma sono riuscito ad afferrare solo la fine della frase: “… già da fuori, maledizione”. Dal soggiorno le ho gridato che dici Lane? Che hai detto? E il braccio mi è scivolato fuori dal divano, con la mano ho toccato qualcosa per terra che si è messa a rotolare sul pavimento. Ho aperto gli occhi e ho visto il gatto che leccava delle briciole sul tappeto facendo avanti e indietro con la lingua, avanti e indietro, avanti e indietro. Ho cercato di avvicinarmi per guardare meglio il fottuto movimento di quella lingua sul tappeto e mi è sembrato di vedere le sue papille ruvide e rotonde, gigantesche. Mentre mi avvicinavo ho sentito una gran puzza di piscio e ho detto al gatto di levarsi dai piedi, piscione farabutto che non era altro. Lane mi ha raggiunto con un passo pesante da militare e la sua voce si è fermata davanti a me dicendo “Phil, te la sei fatta addosso”. Io le ho detto la verità, le ho detto che era stato il gatto, ma non mi ha creduto.

È stato a quel punto che ho visto la sua schiena curvarsi sopra il tavolo vicino al divano e posare il recipiente trasparente pieno di quella brodaglia che lì sul momento mi ha ricordato che non avevo più sistemato il giardino della signora McFarry e che la signora McFarry era morta quattro mesi prima sulla sua poltrona di damasco che puzzava esattamente come la moquette del motel in cui lavoravi tu, Mary Lou. Allora ho detto a Lane che diavolo è questa roba? E dov’è finita la mia Mary Lou? E lei mi ha detto che era spezzatino di vitello e di smetterla con questa storia di Mary Lou. Così ho richiuso gli occhi perché non volevo vedere la stupida bocca di Lane muoversi con tutta quella lentezza, strascicare con tutta quella fatica, solo per dire stronzate.

Credo che prima di andare via abbia pulito la stanza, perché quando mi sono svegliato sul pavimento non c’erano più né il gatto né le briciole né le bottiglie vuote, e nell’aria si sentiva un odore intenso di violetta e candeggina.

Sono stato meglio di così, Mary Lou, tu lo sai. Ma non te ne faccio una colpa. Nessuno deve portare croci che non vuole portare. E io non voglio ingombrare le tue spalle, Mary Lou, quelle spalle piccole che ho baciato tante volte. Quindi lo capisco quando dici che torni subito e poi non torni. È solo che vorrei che non mi mentissi. Che mi dicessi la verità, che mi dicessi che non mi ami più, così potrei smettere di guardare sempre fuori dalla finestra sperando che la sigaretta mi caschi dalle mani per un sussulto.


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