La tradizionale ambiguità degli elfi delle fiabe, che li vede ora benevoli ora maligni verso gli umani, viene sfruttata da Tolkien ancora una volta in senso psicologico.
La loro terra, il Bosco d’Oro di Lorien, è una perigliosa contrada di cui si racconta che pochi di coloro che vi mettono piede ne escano, ma, come dice Sam, “la gente porta con sé il proprio pericolo e poi lo ritrova a Lorien perché se l’è portato dietro.”
La regina di quella terra, Galaldriel, diventa lo specchio dell’anima dei suoi interlocutori, “pericolosa” nella misura in cui incontrarla vuol dire scoprire se stessi.
“If you want to know, I felt as if I hadn’t got nothing on, and I didn’t like it” dice Sam esprimendo ciò che ha provato sotto lo sguardo di Galadriel.
“She seemed to be looking inside me and asking me what I would do if she gave me the chance of flying back home”.
Lo specchio di Galadriel terrorizza Frodo solo perché gli mostra l’occhio di Sauron, l’occhio penetrante, vigile, che fruga nei recessi dell’anima sconvolgendola, forse, in realtà, soltanto l’occhio della coscienza.
The Lord of the Rings, pur portando alle estreme conseguenze la polarizzazione fiabesca in buoni e cattivi, presenta anche delle ambiguità che rispecchiano le ambivalenze e i conflitti del mondo moderno.
In questo modo, accanto ai tipici personaggi fiabeschi, nel romanzo convivono altri tipi di personaggi creando un’impressione di sincretismo.
Siamo di fronte ad una mescolanza di tecniche antiche e moderne.
In primo luogo, in The Lord of the Rings si ritrovano dei personaggi che risultano in realtà delle “maschere”. Vi sono poi dei “tipi” o caratteri fissi ben definiti. A questi si mescolano dei “personaggi” veri e propri, che possiedono un certo spessore psicologico e possono cambiare col mutare delle circostanze.
Abbiamo, infine, uno specifico personaggio ambivalente che incarna le conflittualità a cui è abituato il lettore di romanzi di oggi.
Le maschere sono costituite da tutte quelle creature del male che non rientrano come gli Orchi nell’ambito delle tradizionali figure malvage delle fiabe. Le maschere del male tolkieniane rispecchiano in pieno la polarizzazione fiabesca e la esasperano addirittura in funzione etica.
I Nazgul, le terribili creature alate che, sorvolando i territori dei Popoli Liberi, i incutono un terrore che gela il sangue e paralizza i movimenti; i Ringwraiths, spettri informi e sibilanti; il mostro del lago, di cui si intravedono solo i lunghi e vischiosi tentacoli; Sauron, il Signore degli Anelli, tutto concentrato nel suo unico, spaventoso, vigile occhio senza palpebra; e, soprattutto, l’indimenticabile Shelob, sono tutte incarnazioni potenti del male assoluto.
Per il suo nuovo libro che parla di una lotta di natura eminentemente etica, lo studioso di Beowulf, l’inventore di Smaug, Glaurung, Chrisophilax, questa volta non usa il drago, ma sfodera tutta una casistica di nuove, orripilanti, creature del male, le quali trasudano odio e malvagità gratuita.
Ciò che ci terrorizza nei mostri tolkieniani, infatti, non è tanto il loro aspetto mostruoso, quanto l’odio e la malvagità inspiegabile che da esso emana.
continua…