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Mash Up

Creato il 06 aprile 2010 da Pedroelrey

Mi sono, finalmente, preso il tempo per leggere tutti gli interventi dei diversi membri del comitato di gestione del Manifesto e la decina di pagine di commenti che i lettori del quotidiano in questione hanno lasciato nel tempo.

Ho pensato di realizzare una sorta di mash up, di mix, selezionando le parti degli interventi che mi sono sembrate di maggior interesse sia per evidenziare i contributi, a mio avviso, di maggior valore che per tornare a dare risalto ad una iniziativa di grande valore simbolico che, per quanto a me noto, è senza precedenti.

Domani, ora che il quadro è delineato con sufficiente chiarezza e praticamente tutti i membri del comitato di gestione hanno fornito le loro indicazioni, come promesso, i miei “due cents” sulla questione che mi coinvolge sia come lettore che professionalmente.

Mi auguro che questo doppio appuntamento possa essere elemento di ampliamento del dibattito e di raffinamento delle soluzioni da implementare.

Mash Up

Gli interventi sono elencati in ordine di pubblicazione.

Il sito: E’ stato completamente ridisegnato, dovrebbe essere un nostro punto di forza e di sviluppo. Complementare al giornale (dovrebbe avere delle notizie proprie e non riportare come fa oggi gli articoli già presenti sul giornale, e i suoi contenuti andranno quotidianamente messi in relazione con quelli del giornale), è fondamentale per la comunità dei lettori, che così può interagire con la redazione e avere un proprio spazio di comunicazione, sia a livello singolo che per quanto riguarda i circoli del manifesto. Insomma, quello che gli inglesi chiamano “citizen journalism”, nella speranza che questo faccia da traino al giornale. Attraverso il sito si potrà così dare continuità a campagna e iniziative politico-editoriali. Importante anche la possibilità che il sito del manifesto faccia da punto di riferimento per la “sinistra diffusa” in rete. [Angelo Mastrandrea]

Di tendenza significa scartare, non nel senso dell’apertura stravagante, della trovata. Scartare nel senso di costruire con gli elementi e del quotidiano alcuni muri portanti dell’intervento politico-culturale: il commento, il corsivo, l’inchiesta, l’analisi, la scheda, il ritratto, l’intervista […] Quando noi siamo nati, eravamo interni ai mondi di cui scrivevamo, eravamo giornalisti-militanti e militanti giornalisti. Vivevamo nelle assemblee dei movimenti di cui poi scrivevamo sul giornale. Certo, quelli erano movimenti, quella era già politica, ma oggi, quando si creano situazioni di movimento e di impegno, non abbiamo spirito militante, ne restiamo fuori, mentre dobbiamo recuperare internità, per rendere più forte, pertinente, interessante il contenuto giornalistico. [Norma Rangeri]

Dobbiamo intrecciare tutte le maglie della nostra rete, dare ruolo, opportunità, luoghi materiali e virtuali in cui agire la politica a partire dai territori. Alcuni circoli di amici del manifesto già esistono, molte realtà si sono dette disponibili a organizzarsi e promuovere iniziative, a strutturarsi stabilmente utilizzando il logo del giornale. [Loris Campetti]

La macchina:. Siamo 87 dipendenti, dei quali 65 giornalisti. Troppi e per di più lavoriamo male. La macchina siamo anche noi. Però, tiriamo avanti, facciamo finta di niente. Straordinario, apprezzabile il lavoro del desk, dei redattori capo. Ma non basta, non può bastare. Le basse presenze in redazione possono sembrare una questione burocratica, ma non lo sono. Le sezioni di lavoro operano come repubbliche separate: senza una comunicazione con le altre sezioni e con la direzione. [Valentino Parlato]

A proposito di linguaggio, credo che chi scrive dovrebbe fare uno sforzo per non riproporre l’inerzia culturale che sempre più omogeneizza o, al contrario, esclusivizza il mondo dell’informazione e della scrittura più in generale. Un linguaggio semplice e diretto (capisco che, purtroppo, “semplice” non è affatto sinonimo di “facile”) che, appunto, faciliti la comprensione anche e soprattutto riguardo a temi e argomenti complessi ma importanti. Un linguaggio che faccia attenzione a stereotipi e luoghi comuni e che badi alla natura e al senso delle parole utilizzate, soprattutto se queste rischiano di etichettare o discriminare in qualunque modo e a qualsiasi latitudine. [Marco Cinque]

I nomi e i volti vanno eventualmente estrapolati e messi in prima pagina, come ha fatto più volte Concita De Gregorio all’Unità: si può essere d’accordo o meno con questa scelta, di “urlare” le storie di lavoro, ma credo che al giorno d’oggi, con i linguaggi scelti dalla nuova Unità o dal Fatto – se si vuole “bucare” lo schermo – si buca solo così. Operazione che, non a caso, ci è riuscita con le truccatrici Mediaset, quando abbiamo messo una di loro, e la loro lettera, in prima pagina. [Antonio Sciotto]

È sotto gli occhi di tutti che – dato il contesto nazionale abbozzato sopra – ci sono tre giornali della “sinistra” che stanno guadagnando copie o mantenendo le vendite, nonostante la crisi della carta stampata: il Fatto, l’Unità, la Repubblica. È altrettanto evidente che parte dei nostri lettori ci abbandona per rivolgersi proprio a questi giornali. Ebbene tutti e tre sono giornali militanti: il primo si batte contro Berlusconi con un’aggressiva e documentata campagna sui “guai giudiziari” del presidente del Consiglio, il secondo e il terzo fanno un anti-berlusconismo più articolato di Travaglio & Co., e propaganda in favore del Partito democratico. Tutti e tre hanno “intercettato la fase”: il Fatto vende 100.000 copie, l’Unità 50.000: la direttrice De Gregorio guadagna qualche migliaio di copie rispetto alla gestione precedente, Repubblica (è comunque un altro tipo di quotidiano, con centinaia di giornalisti) tiene. [Michelangelo Cocco]

Antonio Rusconi propone di costituire l’associazione “Amici e compagni del manifesto”, ipotizzando che se 20 mila lettori vi aderissero versando 100 euro l’anno, il giornale potrebbe fare a meno del finanziamento pubblico. Penso che un’associazione, fondata sulla costruzione di circoli ovunque sia possibile, ridando un ruolo attivo ai compagni, possa aiutare a superare le persistenti difficoltà, ma dobbiamo aver chiaro che il manifesto sopravviverà solo se al contributo che gli viene dallo stato saprà aggiungere quelli raccolti da una rete fissa e organizzata di sottoscrittori che, per garantire che “il calabrone” possa continuare a volare, si impegnano a contribuire, stabilmente, ciascuno secondo le proprie possibilità. [Ivano Di Cerbo]

Due anni fa ho partecipato alle attività di un gruppo a supporto de il manifesto formatosi su Facebook. Aveva migliaia di iscritti, che in rete hanno dato vita, al pari di quanto avveniva fuori dello schermo, a iniziative di solidarietà, di sottoscrizione. Con l’amministratore della pagina facebook concordammo un dialogo ravvicinato con i sostenitori. Per due mesi, ho spiegato le iniziative che avevamo deciso, i progetti di rilancio che purtroppo non siamo riusciti, collettivamente, a rendere operativi. Il nuovo sito internet è stato presentato solo due anni dopo; il numero del lunedì è ancora avvolto nel mistero; i circoli del manifesto sono stati messi in quarantena perché pressati da una situazione interna e esterna che toglieva tempo e concentrazione su come lanciarli al meglio […] Possono essere immaginati come spazi pubblici di discussione e di marketing virale di quanto il manifesto, in quanto impresa multimediale, produce. Per farli funzionare al meglio ci vuole umiltà, ma anche disincanto e spregiudicatezza: se un gruppo di lettori mette in campo un’iniziativa dedicata sulla difesa dell’acqua in quanto bene comune, il manifesto deve farla sua, accettando di correre il rischio di essere il media che prova a far interloquire il cosiddetto “giornalismo di strada” con quello per così dire professionale. [Benedetto Vecchi]

Quello che a me sembra non solo uno dei problemi principali che ci riguardano, ma anche un problema che tende a autoriprodursi, ossia il problema della nostra autoreferenzialità, del nostro ripiegamento su noi stessi, della nostra convinzione che le risorse alle quali attingere vengano principalmente dalla nostra storia e non dalle storie che l’esterno ci può fornire. [Francesca Borrelli]

Andare fuori dall’ovvio, guardare oltre le interpretazioni mainstream, «contrastare il conformismo diffuso anche nella sinistra». Soprattutto, essere capaci di cogliere le trasformazioni in corso sul pianeta, cogliere le novità. Questo è il tentativo, e implica che noi stessi siamo capaci di cercare. Mi ha colpito l’invettiva di Michelangelo contro «gli intellettuali», che scrivono cose «incomprensibili» e pallose. Abbiamo bisogno di capacità critica, e non significa «cose incomprensibili» – se uno scrive incomprensibile non è un buon intellettuale. [Marina Forti]

A mio avviso dovremmo fare un giornale non depresso, non sconfitto, non triste, ovvero allegro, ottimista, propositivo, che trasmetta entusiasmo e voglia di lottare e di cambiare, in primo luogo se stessi. Un manifesto che torni a dare scandalo, quotidianamente, non con urla ma proponendo bellissime, realizzabili e necessarie utopie. [Massimo De Feo]

Il manifesto dietro il marchio di fabbrica della sua inimitabile copertina potrebbe legittimamente scegliere di “bucare” le notizie omologate per offrire una vera e propria “vetrina” di storie, interviste, inchieste, personaggi, visioni condivise. Forse, è arrivato il momento di rivendicare la “curiosità criminale” in un mondo dell’informazione stretto fra legittimo impedimento e prescrizione. Scrivere, descrivere, documentare ciò che è assolutamente di pubblico dominio (ma non sotto i riflettori del palcoscenico politico e mediatico) regala sempre belle sorprese; magari, intercetta in anticipo le prime pagine dell’interesse. [Ernesto Milanesi]

Un giornale d’avanguardia. Che deve sì denunciare tutto il marcio del berlusconismo, ma deve soprattutto ricercare le tendenze, le realtà di fatto, le persone, i laboratori di pensiero che già adesso operano per un’uscita dal berlusconismo , e cominciare a intravederla e farla intravedere. Il che comporta, è evidente, un lavoro giornalistico che indaghi anche e soprattutto quello che dagli altri media resta oscurato, e che si avvalga di alcune chiavi interpretative culturali. [Ida Dominijanni]

 


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