Tempo fa fa ho trascorso una bella mattinata passeggiando fra la raggiera di vigneti ancora in vendemmia di Maso Romani, la tenuta gestita da Cavit, ma di proprietà dell'omonima Fondazione benefica, collocata fra Trento e Rovereto, all'altezza di Volano, nel cuore di quella piccola sotto zona della denominazione Marzemino Superiore dei Ziresi.
Lo scrivo oggi, perché è il modo di salutare l'amico Adriano Orsi, fino a ieri presidente di Cavit. L'idea di restituire al territorio, anche se parzialmente, questo patrimonio al Marzemino la si deve a lui, che della terra lagarina è figlio.
Maso Romani, è una tenuta interamente recintata da un originario cordone di muratura, come raramente si incontra in quest'area. Poco meno di sette ettari di vigneto di marzemino, con vigne storiche, altre sperimentali, altre ancora comparative. All'interno anche un casale quasi interamente ristrutturato.
La mia passeggiata e le mie quattro chiacchiere le ho fatte insieme ad Andrea Faustini, enologo e funzionario Cavit - famoso soprattutto, ma non solo, per la piattaforma informatica PICA -, che di Maso Romani se ne prende cura. L'invito è stato suo e io ho felicemente accettato: perché dopo tante schermaglie e tante provocazioni, ho pensato fosse giunto il tempo del dialogo e della costruzione.
Cavit ha lavorato molto, e sta lavorando ancora molto, sul Marzemino dei Ziresi, un lavoro, soprattutto, di miglioramento genetico che ha portato all'individuazione da selezione massale di quattro cloni migliorativi. Uno degli aspetti più rilevanti di questa ricerca e e delle sue applicazione riguarda la composizione e il rapporto buccia/polpa dell'acino e la struttura del grappolo, che sono poi le fragilità naturali del Marzemino. I cloni di Maso Romani hanno migliorato anche questo aspetto, consentendo di produrre un vino più equilibrato e con una carica strutturale più solida. E' il Marzemino che prende il nome dal luogo, Maso Romani appunto. Un vino in cui prevale più significativamente il frutto denso rispetto alla classica nota vegetale, con un corpo di tutto rispetto e un'ampiezza che fa pensare ad ipotesi di interessante longevità, che normalmente i Marzemino non hanno. Insomma è un buon vino, o un vino buono, che si stacca per carica strutturale dai classici Marzemino a cui ci siamo abituati. Oggi le uve di Maso Romani, coltivate seguendo protocolli di sostenibilità, finiscono in parte in questa bottiglia e in parte in altre linee Cavit a sostengo di Marzemino più deboli. Il lavoro in campagna è gestito da un azienda agricola del luogo, la vinficazione avviene in Vivallis, a Nogaredo, sotto il controllo di Mauro Baldessari, l'enologo che più di tutti, pur essendo di origini lavisane, conosce il Marzemino: le sue pecche e le su virtù. Le sue potenzialità e le sue debolezze. A suo tempo fu un protagonista dell'omonimo Consorzio di Tutela e soprattutto fu il padre creativo dell'Etichetta Verde di Isera: il solo Marzemino che in quegli anni, venti anni fa, sia stato capace di costruirsi una reputazione inossidabile.
Il valore di Maso Romani, tuttavia, a mio avviso non sta nel vino o almeno non solo nel vino e in questa bottiglia. C'è un patrimonio di ricerca e di sperimentazione - e anche di comparazione con i Marzemino di altre regioni - che sono un valore aggiunto, le cui conclusioni sono il valore aggiunto vero e che ora aspettano di essere condivise con il territorio e soprattutto con le aziende che ancora coltivano Marzemino. Questa disponibilità alla socializzazione Cavit la annunciata durante un incontro avvenuto la scorsa estate. Mi pare, per ora, non ci sia stato seguito. Ma le dichiarazioni di disponibilità ci sono state. E mi sembra di averne colto lo spirito, appena messo piede all'interno dell'ingresso del vecchio, ma elegante, casale ottocentesco: davanti agli occhi ho visto sfilare le bottiglie di tutte le referenze di Marzemino prodotte fra Isera e Volano. Accanto, e sullo stesso piano della bottiglia pesante di Cavit, c'erano i Marzemino della Sociale di Isera, quello, fuori dalla denominazione, di Eugenio Rosi, perfino quello di Mezzacorona, e poi Salizzoni, Letrari, Bongiovanni, Martinelli, Maso Salengo e via e via tutti gli altri. Un colpo d'occhio quelle bottiglie, una accanto all'altra a comporre il mosaico composito del Marzemino lagarino.
Il resto dell'edificio, oggetto di un restauro rispettoso che si è adattato all'architettura agro - contadina del Basso Trentino, sembra già adeguato ad una fruizione sociale: sala conferenze, salottino di intrattenimento, cucina, spazi conviviali. Non so cosa deciderà di fare la nuova Cavit, uscita dall'assemblea dei soci ieri, guidata dalla coppia Lutterotti - Libera, di questo patrimonio lagarino. Io, personalmente, un sogno ce l'ho: mi piacerebbe che questo maso diventasse la Casa del Marzemino. La casa di tutti i marzeministi lagarini. Un luogo di incontro, uno spazio didattico, un'occasione di confronto, un ambiente di interazioni fra territorio e produttori, tutti i produttori. Un ambasciata del territorio, e non solo del vino, lagarino.
E concludo qui, con le parole, che mi sembrarono almeno di buon auspicio e almeno un buon incipit, pronunciate dal presidente Orsi a metà luglio:<
Cavit è impegnata da tempo alla valorizzazione dei vini del territorio e a questo fine coopera costantemente con le più importanti realtà di ricerca enologica del Trentino su tanti innovativi progetti.
Il Marzemino è uno dei vitigni tipici della nostra terra e il Maso Romani si trova al centro di una tra le zone più vocate a questa produzione. Abbiamo scelto di fare di questo antico edificio e del vigneto circostante, il Centro di Riferimento per una attività di ricerca avanzata sul Marzemino, una ricerca i cui risultati verranno messi a disposizione di tutti i produttori, non solo trentini, e favoriranno la produzione di vini di qualità sempre più elevata.
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