Bisogna essere onesti: nella democrazia occidentale, l’idea di un potere coercitivo in grado di opprimere e indurre la massa a seguire acriticamente il suo dettato è una favola alla quale solo gli ottenebrati complottisti possono ancora credere. Non che il potere abbia rinunciato a cercare di condizionare la massa, ma ogni singolo individuo ha oramai a disposizione tutti gli strumenti per ponderare una scelta tra la rassicurante monotonia dell’adeguamento alla massa o l’avventura perigliosa di uno stile di vita autonomo che non interroga gli altri per decidere come vivere, ma vive in una costante dialettica col suo sé. Contrariamente a quello che si può pensare, la massa non è un’invenzione moderna, ma è la base su cui si è sempre fondata la società. I popoli, le nazioni hanno sempre avuto bisogno di delimitare la loro appartenenza e di omologarla attorno a dei valori condivisi. Chi tendeva ad oltrepassare i paletti, veniva nel migliore dei casi emarginato; nel peggiore, usato come capro espiatorio o come agnello sacrificale. La massa si faceva esecutrice del volere imposto dal potere, attraverso le credenze religiose e la mitologia nazionalista. Anche la massificazione globalizzata non è un’idea moderna, dato che lo stesso etimo del termine cattolico riporta alla volontà di omologare universalmente l’umanità sotto un’unica fede religiosa. Fino a quando il controllo della comunicazione è stato assoluto, il potere, politico e religioso, ha potuto costringere il popolo in comportamenti massificati, funzionali al mantenimento dell’ordine costituito, utilizzando una gamma di strumenti persuasivi che andava dal terrore alla consolazione. Lo scarso sviluppo comunicativo ha fatto si che la tendenza globalizzante della religione si impiantasse sulla massificazione nazionalista, che a sua volta doveva confrontarsi con la massificazione etnica, autonoma e naturale, delle comunità locali; confronto che spesso si risolveva nel genocidio, quando i valori condivisi dal gruppo etnico non potevano coesistere con quelli imposti dallo stato.
La prospettiva è iniziata a cambiare nell’ottocento, con la presa del potere della borghesia, massificatrice della conoscenza tecnica e scientifica e fautrice di un progressivo annacquamento dei valori religiosi e nazionalisti. Conseguentemente, questi valori condivisi tradizionali hanno ceduto il passo, come strumento di massificazione, ai miti della modernità, come il progresso e il benessere, con una tendenza inarrestabile alla globalizzazione, non ponendosi più limiti religiosi o nazionali. Il potere, pur rimanendo egemonico, ha dovuto aprire una dialettica con la massa, anche per opporsi alla spinta delle ideologie che la stavano portando alla presa di coscienza come entità in grado di giocare un ruolo politico. Lo sviluppo della comunicazione, dapprima, è stato un formidabile alleato del potere nella gestione delle masse, come dimostrano Mussolini e Hitler. Ma con l’esplosione della comunicazione degli ultimi decenni, la massa ha iniziato ad avere un ruolo non più esclusivamente passivo nei confronti dei media, fino all’occupazione pervasiva degli ultimi tempi. Il potere ha così perso parzialmente il suo ruolo di guida ed ha dovuto mettersi sulle tracce della massa per garantirsi la conservazione del consenso, indispensabile in un sistema democratico. Accanto alla tradizionale massificazione calata dall’alto sulle masse popolari, se ne è manifestata una forma inedita: la massificazione del potere necessaria alla conservazione del consenso in una società dominata dall’opinione della massa. Gli individui, non più costretti dal potere, omologano il loro comportamento per pigrizia intellettuale e per la necessità di sentirsi parte di una comunità; appartenenza che non si coagula più su valori condivisi nazionalisti o religiosi, ma sull’accettazione incondizionata dei miti della modernità, primo fra tutti quello della libertà di consumare. La massa non è più oggetto passivo del sistema: la massa si è fatta sistema.