Sarebbe invece molto interessante sentire cosa hanno da dire i grandi azionisti dei medesimi giornaloni la cui mentalità e le cui prassi hanno portato al disastro del Paese e anche alla creazione delle anomalie come Prato. Che ci vengano a parlare della loro nota propensione all’investimento produttivo e all’innovazione, ci vengano a raccontare della loro strenua battaglia per imporre controlli fiscali e ambientali, per eliminare il lavoro sommerso, della battaglia per i diritti del lavoro o magari della loro noncuranza vero ilprofitto. Perché se siamo tutti sulla stessa barca, allora vuol dire che siamo su una nave negriera. E viene buono a questo proposito ricordare come la presidente di Confindustria Marcegaglia un anno e mezzo fa, tra gli applausi dei suoi soci, parlava dei lavoratori come di ladri e fannulloni
Ma è stato così semplice approfittare della manodopera a basso costo, prima con le delocalizzazioni nel celeste impero e dintorni, poi importando direttamente i lavoratori a un euro l’ora per 15 ore al giorno, visto che una lunga pratica sottobanco ha reso marginale il pericolo dei controlli, la fase autarchica e casalinga di quella deregulation che gli ultimi governicchi vogliono rendere norma. Perché c’è gente in questo dannato Paese capace di credere che sia la “burocrazia” ad affossare l’economia. O forse semplicemente finge di crederci come alibi alla propria cattiva coscienza.
Certo sono morti solo cinesi e dunque chissefrega, visto che grottescamente agitiamo la nostra inconsapevole xenofobia o facciamo mostra di una incontenibile arretratezza guardando alla Cina con gli stessi occhi di Marco Polo o della rivolta dei Boxer, nel caso di persone particolarmente acculturate. Non ci rendiamo conto della realtà. Forse per questo negli anni ’80 esportavamo verso Pechino i mezzi di produzione, col retro pensiero che mai e poi mai i musi gialli avrebbero potuto farci concorrenza. E adesso quegli stessi esportatori si trovano a fronteggiare prodotti non solo a prezzo inferiore, ma spesso anche di migliore qualità anche se ancora i media ci portano al pascolo con le t shirt e i piccoli tycoon dell’Italia da bere se lo sussurrano tra loro, garantiti dai conti accumulati dei paradisi fiscali .
Tuttavia è vero che spaventa il silenzio o la flebile voce dei sindacati. Perché l’economia di Prato che vive ormai di affitto dei capannoni dove una volta erano gli abitanti della città a lavorare, non è che un’anticipazione di ciò che ci attende: anche il lavoratore italiano starà nel cartongesso e dietro le sbarre e magari al servizio di un padrone cinese che nel frattempo si è arricchito con i suoi schiavi importati. Del resto la svendita salariale, sociale e fiscale ( me quest’ultima volta verso i ricchi) è ormai la filosofia vincente da Oslo a Lampedusa, con paradisi fiscali di classe e forza lavoro da terzo mondo: la chiamano sfacciatamente e bugiardamente competitività. Interessa il profitto non certo il passaporto o il colore della pelle dello sfruttato. Chi pensa che si tratti di un problema di cinesi non sta capendo nulla e non vorrei che anche i sindacati fingano di non avere il sospetto o l’intuizione che attraverso questo tipo di immigrazione “chiamata” si sta semplicemente imponendo a tutti un’idea di lavoro senza diritti e a bassissimo salario, un ritorno senza freni ai tempi della rivoluzione industriale.
Ma che volete quando dopo vent’anni che si è creata questa realtà il sindaco di Prato rivendica il merito di “aver alzato il velo su questa vergogna radicata a Prato nel silenzio di troppi”, cascano le braccia. Intanto perché semmai il velo l’hanno alzato i disgraziati morti nel rogo e poi per la faccia tosta di farsene anche bello. Saprei io qual è l’uso migliore per questi tipi di veli sollevati, compresi quelli della produzione griffata che viene venduta con un ricarico di cento volte. In realtà i pratesi sono spaventati non dal rogo, ma dal progressivo spostamento di attività dei grossisti cinesi che stanno delocalizzando in altre aree del Paese e particolarmente nel bresciano come avverte uno studio del Cnel (l’ente “inutile” che il mandarino Renzi vorrebbe abolire, cos’è questa tutta questa voglia di sapere, gli è roba da bischeri). Però non possiamo dire che in Italia ci sono economie locali che già vivono di economia schiavizzata con la complicità di tutti i poteri. Si fa, ma non si dice. Almeno per ora.