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Massacro e fuga?

Creato il 20 aprile 2012 da Albertocapece

Massacro e fuga?Anna Lombroso per il Simplicissimus

Tutto questo alacre affaccendarsi di cantieri “nazionali”, questi ricongiungimento di imprenditori pronti a prestarsi, questo spartirsi le cosce di Passera, non lasciano dubbi. Il governo del Presidente ha fatto il suo sporco lavoro, l’abdicazione dei partiti era stata provvisoria e temporanea in modo che qualcuno compisse il necessario misfatto, al quale “non c’era alternativa”, come ossessivamente ripetono tutti, Cacciari in testa dopo aver preso lezioni di pia dedizione al sacrificio in disinvolti ambienti confessionali.

I “tecnici” delusi dalle intemperanze a dalla ingratitudine irriconoscente di un popolo gretto, ozioso, infantile, ottuso, ignorante sembrano sempre meno propensi a continuare il loro massacro. L’uno è pronto all’avvicendamento sul Colle, altri hanno compiuto le loro missioni affidategli, un stretta alle intercettazioni là, un impoverimento del welfare qui, un annientamento dell’istruzione pubblica su, una pietra tombale sul sistema pensionistico giù, una pietra tombale sul paesaggio e i beni culturali a soffocare gli ultimi aneliti a conoscenza e bellezza. Così tornano ai loro business di origine, ai loro privilegi irrinunciabili, ai loro consigli di facoltà e amministrazione, salvo qualcuno prediletto e desiderabile, che magari porta in dote qualche doviziosa banca, di quelle che fanno “sognare”.

E comunque una missione l’hanno compiuta: come ebbe a dire spudoratamente Monti – che come i macellatori dei maiali di una volta non si perita di nascondere le sue cruente e sanguinose attività in barba ai processi di civilizzazione e alle buone maniere – l’Europa ha bisogno di shock, di crisi “persuasive” in modo che gli stati rinuncino a quote più o meno considerevoli della loro sovranità in nome di una entità superiore. Così silenziosamente, con l’abbietta e codarda correità dei banchi della diversamente sinistra, hanno condannato il Paese, il corpo elettorale e lo stesso Parlamento all’umiliante condizione di rinunciare con la politica economica anche alla nostra Costituzione, sfigurata in strumento applicativo di una legge senza giustizia, al servizio della pistola tecnocratica della finanza che detterà i suoi diktat inappellabili.

Grazie ai bramini della teocrazia liberista saremo un’avanguardia, ad aver silenziosamente subito questo oltraggio, ché altri paesi con costituzioni anche meno pluraliste, democratiche, lavoriste, saranno meno solerti e forse riusciranno a sottrarsi a questa abdicazione, a questa degenerazione aberrante verso la in-costituzione o la de-costituzione, che anticipa insieme a quella economica la recessione civile, con la neutralizzazione della politica, l’annientamento dei diritti che preconizza quello del diritto, sostituito dal dominio del profitto.

Con la criminale acquiescenza dei partiti, in un assordante silenzio dei media soggiogati, nella sordità a moniti e raccomandazioni di menti illuminate, storici che guardano al passato e intelligenze che guardano al futuro, tra i quali anche un bel po’ di premi Nobel, si è potuto esercitare un sopruso aggiuntivo, approvando la legge secondo le procedure che impediscono di indire un referendum.

Quando parliamo di riprenderci la politica dobbiamo cominciare dalla riappropriazione della sovranità in materia economica. E riprendendoci con l’articolo 81 del quale ci hanno spogliato, la pienezza costituzionale. Già qualcuno ha proposto una legge costituzionale di iniziativa popolare, ai sensi dell’articolo 71 della Costituzione, in modo che le entrate dello stato, delle regioni e dei comuni siano riservate per il cinquanta per cento ad assicurare direttamente o indirettamente il godimento dei diritti sociali. E facendo sì che nei bilanci di previsione dello Stato, delle regioni, dei comuni, il cinquanta per cento della spesa risulti destinato a garantire direttamente o anche indirettamente i diritti: alla salute, all’istruzione, alla formazione professionale delle lavoratrici e dei lavoratori, alla retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro, all’assistenza sociale, alla previdenza, all’esistenza dignitosa ai lavoratori e delle loro famiglie. Non ci vuole tanto a raccogliere cinquanta mila mentre ci vuole tantissimo a ripristinare la civiltà giuridica e politica e insieme quella dei diritti e dello stato di diritto.


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