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Massimo fini e gli antimodernisti della disfatta

Creato il 02 maggio 2012 da Conflittiestrategie

 

A sentire Massimo Fini le società precapitalistiche erano l’eden in terra poiché in esse l’uomo non era schiavo del suo lavoro e viveva (ma quanto viveva mediamente?) in armonia con la natura, seguendone ritmi e cicli. In realtà, l’individuo precapitalistico lavorava con i suoi mezzi, divenendo con ciò proprietario dei suoi prodotti, anche se una parte di questi o della sua giornata lavorativa appartenevano comunque al signore padrone della terra o al sovrano, padrone di tutto, che tramite le tasse, in denaro o in natura, s’appropriava, con la forza o con la minaccia di usarla, dei frutti del lavoro altrui. Ovviamente, poiché era stato direttamente Dio a volere quell’ordine delle cose, ed essendo la religione il perno che garantiva la riproduzione dei rapporti sociali di quella specifica società, difficilmente qualcuno si metteva contro il cielo, anche se ogni tanto, causa epidemie, carestie, guerre o richieste esose dei tiranni, la pazienza si perdeva e scoppiava il tumulto, presto represso nel sangue.

Ma avrei proprio voluto vederlo Fini apprendista-garzone di bottega ai tempi delle corporazioni, sottopagato o non pagato per nulla, oppure servo della gleba comprato e venduto con il feudo, per non parlare di tutti gli altri vincoli feudali “variopinti”, come diceva Marx, “che legavano l’uomo al suo superiore naturale”, che se non eri superiore facevi proprio una vita di merda. Ma tutto questo Fini finge di non saperlo altrimenti con quali argomenti pubblica i suoi libri ed abbindola la gente? Il Nostro avrebbe fatto esperienza diretta del servaggio e della schiavitù che si manifesta con le catene reali, con le percosse sul corpo, con il consumo repentino delle proprie energie lavorative e della stessa vita che notoriamente, nelle classi subalterne (e sì Fini, gli sfruttati ci sono sempre stati, in tutte le formazioni sociali storicamente esistite), non andava più in là dei 35-40 anni. Mi pare, invece, che lui, in questa vituperata società capitalistica, dove il denaro corrompe lo spirito e discioglie la dignità personale nella libertà di speculare e truffare, abbia già superato i sessanta, anche in buona salute proprio per “colpa” del progresso. E’ facile fare la lotta letteraria alla modernità comodamente seduto sulla poltrona con il vibromassaggio, Fini si metta su di un bel letto di paglia che almeno gli riconosceremo la coerenza delle sue chiacchiere. Se le parole di Fini fossero davvero sincere semplicemente non le udiremmo perché lui, figlio di altri tempi, non avrebbe gli strumenti per farcele arrivare. Invece, siamo bombardati quotidianamente dai suoi sermoni pauperistici diffusi a reti unificate alla velocità della luce. Ma non sorprendetevi, ogni epoca storica ha i suoi inutili cantori di sciagure, i suoi ridondanti profeti di sventura che preconizzano la fine del mondo perché le loro idee piene di buoni principi non hanno né capo né coda. Già Marx nel manifesto ne parlava abbondantemente, ad esempio, quando descriveva gli aristocratici sconfitti dalla borghesia che essendo ormai divenuti una classe  superata ed in via d’estinzione si misero a propugnare una sorta di socialismo feudale “metà lamentazione, metà libello; metà riecheggiamento del passato, metà minaccia del futuro”. Pari pari alle idiozie commoventi propalate adesso da Fini e compagni, i quali hanno messo nero su bianco le loro isterie romantiche in un fantomatico “Manifesto dell’antimodernità”. Questo documento si prende anche il lusso di fare la critica al marxismo che “si è rivelato incapace di contenere e di sconfiggere il capitalismo. Perché non è che una variante inefficiente dell’Industrialismo. Capitalismo e marxismo sono due facce della stessa medaglia. Nati entrambi in occidente, figli della Rivoluzione industriale, sono illuministi, modernisti, progressisti, positivisti, ottimisti, materialisti, economicisti, hanno il mito del lavoro e pensano entrambi che industria e tecnologia produrranno una tale cornucopia di beni da far felice l’intera umanità. Si dividono solo sul modo di produrre e di distribuire tale ricchezza. Questa utopia bifronte ha fallito. L’Industrialismo, in qualsiasi forma, capitalista o marxista, ha prodotto più infelicità di quanta ne abbia eliminata. Per due secoli Capitalismo e Marxismo, apparentemente avversari, in realtà funzionali l’uno all’altro, si sono sostenuti a vicenda come le arcate di un ponte. Ma ora il crollo del marxismo prelude a quello del capitalismo, non fosse altro che per eccesso di slancio”.  Cazzate sesquipedali da parte di chi non conosce il pensiero scientifico di Marx e che non meritano nemmeno commenti. Ma che cosa propongono i giustizieri del passato per rimediare ai danni dell’attualità? Autodeterminazione dei popoli, piccole patrie, autoproduzione ed autoconsumo, democrazia diretta, disobbedienza civile. La vedete anche voi la bisaccia del mendicante sventolata nell’aria da questi cialtroni ben pagati per attirare e gabbare il popolo con pii desideri irrealizzabili e vuote parole d’ordine senza fondamento? Ribadiamo che l’urgenza di oggi è di puntare alle grandi decisioni sovrane per rafforzare il nostro sistema sociale ed economico, ricollocandoci diversamente nel tumulto multicentrico in atto a livello geopolitico. Non vi sono alternative a questa opzione e chi parla di tornare indietro è soltanto un collaborazionista dei poteri dominati mondiali che tentano d’indebolirci come popolo e come nazione.


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