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Mastectomia – un racconto di Iannozzi Giuseppe

Creato il 13 novembre 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Mastectomia

di Iannozzi Giuseppe

Un grosso nodulo al seno.
Lo aveva sconfitto che aveva quaranta anni. Era stato il peggior periodo della sua vita, l’operazione, la chemioterapia che l’aveva lasciata senza un solo capello. E una mastectomia parziale: il seno sinistro. Devastante. Ma alla fine era stata lei ad averla vinta sul tumore.
Ma questa volta non c’erano speranze. A sessanta anni non era ancora pronta per dire addio al cielo e alla terra.
Sua madre era morta proprio per via di un tumore, e così pure tutte le donne del ramo materno. Una maledizione tirar le cuoia così.
Ora sarebbe toccato a lei.
Non era pronta. Non aveva ancora veramente vissuto. Sessanta anni non sono pochi. Non sono tanti.
Per una vita intera aveva dipinto tele su tele credendo d’essere una artista. Non era vero però. Non aveva venduto mai un quadro. Non aveva mai tenuto un’esposizione tutta sua. Sapeva dipingere sì, ma in maniera anonima al pari di altri milioni di imbrattatele. Non aveva ancora dipinto il suo capolavoro, quello che l’avrebbe resa immortale.
Giuliana si tastò il petto sotto il maglione pesante. L’oncologo era stato freddo e deciso, non le aveva lasciato alcuna speranza, doveva prepararsi ad andarsene in pace. La sentenza l’aveva colpita al cuore, proprio sotto il seno che da tanto tempo non c’era più. Se solo avesse avuto con sé un coltello lo avrebbe sgozzato a quel diavolo d’un uomo.

Quando le avevano tagliato via il seno sinistro si era illusa che quel sacrificio sarebbe servito. Venti anni in più non erano abbastanza. Non lo erano proprio per esser stata costretta a cancellare la propria femminilità. Per venti anni aveva vissuto dimenticandosi d’essere una donna. Non si era più truccata, né aveva calzato più scarpe col tacco alto, non aveva più cercato una vita affettiva. Aveva allontanato da sé tutte le amicizie maschili prima, poi quelle femminili. Si era chiusa in sé confidando che l’arte l’avrebbe ripagata. Non era stato così, le sue tele erano porcheria, lei lo sapeva bene: non ce n’era una che valesse. Centinaia di quadri e nemmeno uno buono.
No, non avrebbe accettato di finire sottoterra senza prima aver consegnato all’umanità il suo capolavoro.
C’era così poco tempo, così poco!

Scese giù in strada, lasciando la porta dell’atelier aperta. E prese a correre a perdifiato.
Nessuno le badava.
Era una donna non più giovane che correva, null’altro che questo. E forse neanche questo per chi incontrava il suo sguardo animale in velocità.

La casa a soqquadro. I ladri sono entrati dalla porta lasciata aperta dell’atelier. Avevano preso tutto il possibile, anche il vecchio televisore a valvole in bianco e nero. Le tele invece non erano state toccate. Con tutta probabilità neanche degnate di un solo sguardo.

Giuliana era alla fine, lo sentiva: non un briciolo di forza nelle vene, neanche per spremere dagli occhi una o due lacrime di circostanza.
Col fiato in petto ridotto a poco più d’un rantolo d’agonia rimase a fissare la casa vuota d’ogni cosa, piena dei quadri da lei dipinti.

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