di Nicola Pucci
Con Murray ai box per l’operazione alla schiena e Federer, al rientro, neppure lontano parente del Magnifico di un tempo che fu cavalco nettissima l’impressione che ai big-four di consolidata militanza debba aggiungersi un quinto elemento. Juan Martin Del Potro, signori miei, era apparso sulla scena tennistica abbacinante come una folgore nell’agosto newyorkese del 2009 lasciando immaginare una carriera meravigliosa quanto la sua talentuosa racchetta, strumento atto al bombardamento in percussione.
Djokovic vince il Torneo Master 1000 di Shanghai – foto reuters da sports.fr
Conosciamo tutti le traversie che han tarpato le ali al volo del gigante di Tandil verso le sfere altissime del ranking mondiale accanto a Rafa il nerboruto, Nole il gladiatore, Roger l’elegante e Andy il brontolone. Ma oggi, al Master 1000 di Shanghai, il processo di avvicinamento può dirsi concluso e Delpo può a pieno titolo fregiarsi delle stimmate del grande interprete del tennis contemporaneo.
Mi accorgo, e me ne scuso, di non aver ancora celebrato come è giusto che sia il vincitore dell’evento nella terra del dragone. Djokovic, già, proprio lui, il re spodestato dal trono una settimana fa, che ha reagito allo smacco come solo i fuoriclasse veri sanno fare mettendo in saccoccia due trionfi in sequenza, Beijing e Shanghai. Il serbo entra in tabellone liquidando facile Granollers, troppo leggero per poterlo impensierire; agli ottavi incrocia Fognini e si impone col duplice 6-3 in un match dai nervi scoperti. Due francesi provano a fermare la sua corsa, Monfils il supermolleggiato che si allunga come un barbapapà e si prende un set, il primo, per poi calare alla distanza, e Tsonga, anche stavolta rimandato ad un passo dalla finale.
Del Potro non vuol certo sfigurare al cospetto del campionissimo, porta in dote la vittoria di Tokyo e dopo aver penato al debutto con Kohlschreiber, uno che gioca bene, approfitta del forfait di Haas per poi abbattere Almagro. Ma è in semifinale, con Nadal fresco di numero 1 in graduatoria, che l’argentino pennella la partita perfetta demolendo il maiorchino con il servizio che apre il campo, il dritto che incide, il rovescio che non non trema quando c’è da portare a casa il punto. 6-2 6-4 ed è finale.
Mezzogiorno di fuoco – ora italiana – ed eccolo il certificato di grandezza. Provate voi, se ne siete capaci, a risollevarvi dopo un primo set perso 1-6, senza beccar pallina, vagando per il campo alla ricerca di un’ispirazione che non c’è. Ma Del Potro, appunto, è giunto a maturazione ed invece di sciogliersi si risolleva, detta il ritmo alla sfida in un secondo set che chiude 6-3 difendendo con autorità il break colto d’entrata. Djokovic apre il set decisivo con tre aces, a significare che la sua rabbia vincente è intatta, e la partita, ora sì, è bellissima. E’ un alternarsi di scambi mozzafiato, fucilate che bruciano il tappeto di gioco, un diagramma impazzito di emozioni. Con l’equilibrio che non si spezza fino alla conclusione al fotofinish, tie-break che il serbo abborda col piglio giusto per giunger primo sotto il traguardo. Vince Djokovic ma Del Potro è diventato grande, appuntamento a Bercy, sulla strada che porta al Master di Londra.
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