Una serata di gennaio, nella vecchia casa di famiglia sperduta tra i monti della Sabina.
Colonna sonora: il crepitio del caminetto e “Tangerine Dream” dei Dead Can Dance.
Coltivando la pia illusione di essere mancato alla mia (modesta) platea di lettori, da buon egomaniaco mi accingo a dare qualche spiegazione: forse non ve ne sarete accorti – in caso contrario avrete magari tirato un sospiro di sollievo, anche se a me piace pensare il contrario, e in un delirio di onnipotenza del tutto ingiustificato, vi immagino contriti dal dolore e in preda all’angoscia e allo smarrimento dovuti a un ritardo più lungo del mio “normale” quarto d’ora accademico – ma ho saltato la pubblicazione di dicembre.
Di conseguenza, mascherando il mio narcisismo con correttezza professionale e rispetto per il pubblico, porgo le mie scuse e chiudo la questione tranquillizzandovi sul fatto che io sia ancora qui.
Ma Dicembre è stato un mese super impegnativo: comprensibili impegni familiari e conseguenti ettolitri di bicarbonato digestivo, date ravvicinate con il mio gruppo musicale, il normale superlavoro natalizio proprio delle attività commerciali e qualche acciacco influenzale…tutti motivi semplici, ma ineluttabili quando si impilano in un micidiale allineamento astrale.
Da qui il super ritardo. Ulteriormente aggravato, però, dal fatto che il difficile mestiere di raccontare i giorni e le opere che ci circondano è composto anche da un duro lavoro sul campo e dietro le quinte.
Certo, non sarà paragonabile a quanto svolto dai reporter di guerra, ma provate voi a muovervi in Lambretta dal pontino al centro di Roma nei giorni più freddi dell’anno.
Aggiungendo che, al giorno d’oggi, le due ruote sono l’unico mezzo per raggiungere il cuore della capitale restando parzialmente al sicuro dalle ZTL, dalle strisce blu e dai blocchi della circolazione che l’amministrazione Capitolina distribuisce in abbondanza e a sorpresa, con il solo scopo di rimpinguare le esauste casse del comune, a spese di ignari utenti della strada.
Tutto ciò premesso al fine di poter raccontare due eventi veramente degni di nota, in grado di portare un fioco bagliore di cultura e conoscenza nelle vostre buie vite di tetra ignoranza.
Il tutto in tempi – relativamente – brevi, dietro la minaccia del grande capo, già pronto ad infilarmi cerini accesi sotto le unghie dei piedi.
Il primo evento visionato appositamente per voi è la seconda edizione della mostra Body Worlds, ovvero le plastinazioni di herr doktor Gunter Von Hagens.
Qualche maligno si è lasciato sfuggire commenti del tipo “Giusto tu dal dottor morte eh?” e sicuramente qualcuno tra voi, conoscendo i miei gusti, gli argomenti che amo trattare e il modo in cui amo trattarli avrà pensato lo stesso.
Ammetto che nel mio gusto esiste una piccola passione per il macabro, ma quello che mi interessava davvero era capire come un processo strettamente scientifico come quello della plastinazione potesse arrivare a diventare una forma artistica, per di più con una sua indipendenza narrativa mediante l’esposizione di gruppi “plastici”, quasi scultorei e raccontarlo con un punto di vista diverso da quello dell’informazione mainstream.
L’elemento della morte indubbiamente è presente, come in ogni aspetto che riguardi la vita, ma chi dovesse andare alla mostra spinto dal gusto del morboso è avvertito: resterà molto deluso.
Penso che lo spirito giusto per avvicinarsi a Body Worlds, sia un misto di curiosità, apertura mentale di fronte a linguaggi non convenzionali, rispetto, ma soprattutto molta umiltà e disponibilità ad ascoltare quello che autore e corpi hanno da dirci.
In ultimo, non sarebbe male essere sicuri di non soffrire di ipocondria.
In breve, lo stesso spirito che avreste nell’andare a visitare il famoso cimitero dei frati cappuccini in Via Veneto.
Ed è proprio la sensazione di entrare in una rivisitazione scientista del celebre cimitero quella che mi accoglie quando, con la mia fotografa veterana, entro nello spazio espositivo del SET che ospita la mostra.
L’ambiente è il più lontano possibile dalla “fiera delle atrocità” che qualche benpensante potrebbe immaginare.
Un sottofondo di musica piacevolmente rilassante rassicura chi avesse avuto il timore di essersi imbarcato in un giro nel tunnel degli orrori.
Un cartello reca un doveroso omaggio a tutti coloro, uomini e donne di ogni razza e credo, che anonimamente e con le motivazioni più disparate, hanno deciso di donare il loro corpo alla scienza, all’arte e a tutti noi che ci accingiamo a vederli a seguito del processo di plastinazione.
Già, ma cos’è la plastinazione?
Due parole per voi, bifolchi ignoranti che non lo sapete!
Scherzi a parte, prima di interessarmi a questo evento nemmeno io avevo le idee ben chiare.
Ero rimasto alla cara e vecchia formaldeide che qualsiasi studente di medicina al primo anno o chi ha visitato il museo di scienze criminali certamente conosce.
In realtà la plastinazione è un procedimento infinitamente più complicato, dispendioso e realizzabile solo al prezzo di un faticoso procedimento che ha l’indubbio pregio di rendere fruibile, in maniera semplice e anche ai profani, i complessi meccanismi della macchina umana.
Citando in sintesi un breve stralcio della cartella stampa che gentilmente mi viene offerta all’entrata esso “permette di conservare perfettamente tessuti ed organi sostituendo ai liquidi corporei polimeri al silicone (…) consentendo la visione degli organi sovrapposti o reciprocamente coperti, nella loro posizione naturale ”.
Questo dovrebbe chiarire il punto di vista strettamente tecnico.
Il resto invece è basato su un’alchimia di scienza ed arte.
La visione del corpo, le funzioni degli organi, la loro crescita e il loro decadimento sono uniti da uno slancio dinamico che fa superare la fredda visione di un tavolo di dissezione.
Essi ci parlano e raccontano una storia che è anche la nostra.
Ci raccontano la storia della vita di tutti i giorni: carne, muscoli, vene, smettono di essere materia plastica e assumono le forme familiari dei mille gesti rassicuranti.
Diventano uno specchio in cui tutti noi possiamo ritrovarci, dando alla quotidianità la dimensione dello straordinario.
Chiunque può andare oltre la semplice esteriorità e vedere se stesso e il potente complesso di eventi che si nasconde dietro ogni singolo respiro.
Questo percorso, chiamato appunto “il ciclo della vita” ci consente di superare il semplice nozionismo meccanico o, di contro, la mistica dello spirito.
Ripercorre il viaggio del corpo attraverso installazioni plastilizzate che ne seguono il progredire dalla nascita alla vecchiaia e le sue interazioni nel quotidiano espresse attraverso pose dinamiche.
In ogni sezione poi, vi sono delle teche più piccole che espongo nei dettagli gli organi, le loro funzioni e il loro deterioramento se sottoposti a sollecitazioni distruttive.
La mostra permette di prendere coscienza di noi stessi nel duplice contrasto della nostra unicità come individui attraverso l’omogeneità di un’unica appartenenza biologica. Facile a parole, difficilissimo nei fatti.
Il nostro corpo è uguale per ognuno di noi, ma il percorso con cui lo faremo crescere ed invecchiare è qualcosa che riguarda le nostre singole scelte, l’uso che ne facciamo e le aspettative che abbiamo.
Dal momento del concepimento fino alla vecchiaia, ogni istante muta il nostro corpo e lo adatta al nostro ambiente o alla nostra mentalità.
Persino la senilità può, attraverso una serie di scelte che ci condizionano, venire considerata un tramonto o una normale fase della vita da cui si può ancora trarre tutto ciò che l’esistenza ha da offrirci.
A cesellare e a definire meglio questa epifania di sensazioni è la lunga chiacchierata post- visita con Fabio Di Gioia, Curatore artistico della mostra.
Con la passione propria di chi ha amore per ciò che fa, risponde pazientemente a tutte le mie domande, spiegando ogni mio dubbio, esattamente come quando incontra i ragazzi delle scuole che ogni giorno affollano a decine le sale di Body Worlds.
Classe 1966, esile, impeccabile ed estremamente composto, a prima vista sembra il “pallido studente di scienze proibite” descritto da Mary Shelley, ma appena inizia a parlare si capisce subito che non è certo uno scienziato pazzo.
Di sicuro non è il tipo che conduce esperimenti segreti in qualche vetusto rudere, al contrario, è animato da una passione per la divulgazione quasi illuministica che lo rende più simile ai primi grandi enciclopedisti.
Curioso ed interdisciplinare, si interessa a tutto ciò che riguarda la conoscenza e che merita di essere condiviso.
Conosce perfino Taxidrivers, e non posso nascondere che già questo me lo rende simpatico.
Autore di format televisivi come “La macchina del tempo”, da qualche anno preferisce mettere la sua esperienza a disposizione di eventi culturali che spaziano dall’arte concettuale alla scienza, ovviamente pensati per i grandi numeri.
In parte perché da un lato si tratta di un lavoro di cui dovrà vivere, ma soprattutto perché gli eventi che cura hanno quasi sempre per fine il creare consapevolezza o, per usare le sue parole, “vadano a coprire un fabbisogno culturale”.
Con Body Worlds l’obiettivo è farci scoprire noi stessi, mentre in altre situazioni la problematica su cui centrare l’attenzione era il nostro ambiente. É il caso di “Trash People”, evento shock che nottetempo invase il centro di Roma con sculture di rifiuti, realizzate dall’artista Ha Schult, per sensibilizzare la popolazione sulle tematiche ecologiche.
E quando devi far passare un messaggio che aiuti a far prendere coscienza devi raggiungere il maggior numero di persone, anche usando i meccanismi del divertimento.
Per Fabio l’essere pop non vuol dire necessariamente avere un’offerta culturale qualitativamente scarsa, ma semplicemente più Europea.
Magari, aggiungo io, al di fuori dei polverosi circuiti accademici, spesso accessibili solo a pochi iniziati.
Sul finir della chiacchierata la classica domanda di rito sui progetti futuri.
E come di rito il diretto interessato non si vuole mai sbottonare più di tanto.
Onestamente non capisco perché mi ostino ancora a fare la domanda di chiusura.
Però una piccola anticipazione riesco a strappargliela, e riguarda un evento all’EXPO di Milano destinato ai bambini.
Ovviamente non posso che fargli i miei auguri.
Bravo Fabio!
Acchiappali fin da piccoli!
Colonna sonora: White rabbit – Jefferson Airplanes
Master Blaster