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Master of Pappets

Creato il 08 ottobre 2013 da Elgraeco @HellGraeco

oscarwilde

Il titolo è volutamente errato, un gioco di parole (con inglese maccheronico), che si riferisce a questo articolo di Angelo Sommobuta, che non solo condivido al 100%, ma che ha anche stimolato questa riflessione.
In esso, vengo citato anche io, o meglio questo blog, come uno dei posti che Angelo frequenta puntualmente. Solo che, siccome non aggiorno con regolarità, mi si viene a visitare due/tre volte la settimana. Benissimo.

Queste osservazioni mi fanno molto piacere. Perché se il blog è ormai diventato una specie di pulpito dal quale predico a una folla per lo più muta, a volte arrivano ancora interventi interessanti, meritevoli di discussione e approfondimento. Come è capitato con l’articolo su Gravity, come accade altre volte. Poche, ma buone. Mi compiaccio.

Non ricordo di preciso quando mi accorsi, riferendomi al tema di Angelo, che la rete e il suo pubblico erano diventate un “condividere o morire”. Sta di fatto che l’avevo capito, e la cosa mi faceva girare le palle già a quel tempo.

Dissi a me stesso, e a coloro che l’articolo lo lessero o se lo ricordano, che questo posto non esiste in funzione dei social network, e che ce l’avrebbe fatta da solo, senza condivisioni. Per un periodo di due settimane, quindi, cessai di condividere i miei post.
Una catastrofe.
Il blog perse circa il 70% delle visite. Mi arresi e ammisi pubblicamente la sconfitta.
Però la cosa brucia ancora.
E pensare, tra l’altro, che si era ancora nel periodo pre-pinguino (ovvero prima che lo zio Gugle rompesse le palle a mezzo mondo cambiando il suo algoritmo). Dopo il pinguino, le cose sono andate persino peggio.

***

“Devi bloggare quando e come voglio io, chiaro!?”

Ché se prima bastava condividere un paio di volte sui social network, ora sette sono a mala pena sufficienti.
Quindi zio Gugle, in barba alle dichiarazioni che volevano il pinguino premiare la qualità del sito, ci ha trasformato in ciò che odiamo di più: in maledetti spammer.

Io poi ho sempre pensato al mio bloggare come a un’attività rilassante. Per anni, questo posto è stato rifugio e jazz bar, un posto dove parlare di argomenti normalmente preclusi nel mio circolo di conoscenze reali e farlo senza spirito di competizione alcuna. Essendo premiato o punito dai lettori nel caso in cui scrivessi cose buone o buone cagate. Tutto bello, tutto fantastico e appagante.

Poi le cose sono cambiate.
È subentrato un astio generalizzato, polemiche a non finire per quelli che, come noi, hanno osato prendere coscienza di svolgere un ruolo quotidiano nella vita di molti internauti, e pretendere di farne un mestiere a tutto tondo. Visto che la fatica, propria del mestiere, c’è già.
Ma non divaghiamo.

***

Alla fine siamo arrivati a un nuovo equilibrio, l’attuale. Che è un equilibrio molto, molto, molto precario. Le cose, messe come sono oggi, possono variare nel giro di 24 ore.
E tu, blogger di lungo corso, senza condivisioni, pagine, mail, etc… scompari nel dimenticatoio, dove nessuno può sentirti urlare, perché nessuno (o almeno la maggior parte) si ricorda di te e del tuo blog, se non schiacci il tasto share.

Amen. Trascinati dalla corrente.
Ma anche no.

Ciò che ho evitato di fare, e qui mi ricollego alle considerazioni di Angelo sulla programmazione del mio blog, è che il mio bloggare diventasse schematico. Scadenze fisse, rubriche fisse, altre robe… tutte fisse, secondo uno scadenziario rigoroso, per fidelizzare il lettore.
Ecco, io non ci riesco. Bloggare così non mi diverte. Significa, per la maggior parte, fare il gioco di Gugle, e seguire poi il flusso delle condivisioni.
E io aborro sia l’uno, che gli altri.

Ma attenzione, non è una critica verso chi invece lo fa. È una presa di coscienza che, da parte mia, adeguarsi a questo sistema è impossibile.
Questo significa pagare un prezzo in termini di ascolti e popolarità. Poco male. Accetto i ritmi incredibilmente veloci di internet, a mie spese. Come ho fatto sempre nella vita. Visto che, è bene cominciare ad ammetterlo, anche internet è vita, non è un sogno in cui svernano i sognatori. Oggi il mondo è internet.

***

In ultima istanza, siamo sicuri che, ammesso di creare programmi, rubriche apposite, palinstesti, i risultati, che certamente arriveranno, siano ciò che vogliamo di più?

Se ti ha entusiasmato questo film significa che devi scopare di più

“Una volta il pubblico era più attivo…”
“Eh, ma anche oggi non scherza…”

Questo il commento illuminato di un nuovo lettore, raggiunto evidentemente dalla politica di diffusione e condivisione selvaggia.
Non sforzatevi a cercarlo. Non lo troverete.
Ok, trattasi di fenomeno tipico di internet, il passante che insulta. Ma il discorso è sempre valido.
Cioè, questi sono i lettori che ci affanniamo a guadagnare?

Mi domando: uno si fa un mazzo così per fornire un parere obiettivo su qualunque argomento, sperando di far nascere una discussione, per poi ricevere queste stronzate come tornaconto?
Are you fucking kidding me?

Certo, c’è sempre il rovescio della medaglia. I cali di ascolto, le critiche, la mancanza di interesse verso gli argomenti trattati possono imputarsi al blogger stesso, che può peccare in moltissimi modi.
Il blogger stesso sono anche io, ovviamente.

Ecco spiegato il perché della non-programmazione di questo posto, o dell’abbandono di certe “rubriche”, perché punite in termini di ascolti.
Mi lamentavo l’altro giorno (e ora sapete, se non l’avevate capito, che mi lamento sempre a ragion veduta) dei blockbuster, perché in effetti solo di quello vuole leggere il pubblico.
E anche di pupazzetti anni Ottanta e di liti con questo o quell’altro blogger (perciò specifico che non ci sono frecciatine quando mi riferisco ai pupazzetti anni Ottanta, alle liti, o ai blockbuster).

Però, finché si tratta di un rapporto alla pari pubblico-blogger, ci stanno i litigi, le incomprensioni, le riappacificazioni. È il normale corso di ogni rapporto di scambio.
Ma quando la sopravvivenza di un luogo dipende dal malcostume delle condivisioni, con la paura (che diventa quasi certezza) che nemmeno vengano letti, i post, e, in secondo luogo, dalla dittatura di un motore di ricerca… Ecco, a quel punto c’è da chiedersi da che parte stare.
Se adeguarsi per restare a galla, magari anche per primeggiare, avendo scoperto i piccoli trucchetti per riuscirci. Scelta legittima.
O se continuare tranquilli per la propria strada, senza variare velocità e traiettoria. E magari svoltare quando ci imbattiamo casualmente in un bel panorama, decidendo di approfondire.
Ma soprattutto senza trasformarsi in quegli odiosi figuri che diventano guru del quieto bloggare, imponendo il loro lassismo (che tale diventa) agli altri, come panacea di tutti i mali.

Quale strada ho scelto io?
Diciamo che per il momento ho bucato. Sono fermo sul ciglio della strada e ho messo il triangolo.


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