La sezione matematica che studia la «teoria del caos» è legata al matematico Benoit B. Mandelbrot (20 novembre 1924 – 14 ottobre 2010), ed «è diventata una nozione cardine della geometria naturale e della teoria dei sistemi altamente irregolare» (Mario Livio, La sezione aurea). Il fondatore della geometria “frattale” (dal latino fractus, “frammentato”) partiva dall’idea che il piccolo in natura non è altro che una copia del grande. In altre parole, uno schema piccolo viene replicato più volte fino a dar forma ai fenomeni macroscopici. Prima della geometria dei frattali, le uniche forme che si potevano descrivere e misurare erano quelle regolari: linee dritte, cerchi, cubi. Eppure, rispetto alle tante forme che ci circondano, le forme regolari sono una vera e propria minoranza. La maggior parte delle forme degli oggetti che ci circondano sono disordinate, capricciose, contorte, sinuose, imprevedibili, ecc.
Quando parliamo di forme non dobbiamo pensare soltanto a quelle degli oggetti, ma anche alle forme di relazioni tra gli oggetti, perché anche in questo mondo esistono forme regolari, come lo sono le funzioni analitiche (parabole, iperbole, cerchi, ecc.) oppure alle forme goniometriche, che forme caotiche o irregolari. Quando ho cominciato ad occuparmi di comportamento interattivo cercando di individuare delle regolarità, mi sono ritrovato ad affrontare lo stesso tipo di problema. In sostanza, sapevo anch’io che il comportamento umano e non umano sia qualcosa di molto imprevedibile, che ci riserva delle sorprese, che può deviare dal suo corso da un momento all’altro. Insomma, il comportamento è qualcosa di molto “irrazionale”. Lo stesso tentativo compiuto dall’economia politica si fondava sull’assunto che il comportamento (economico) sia qualcosa di razionale e quindi descrivibile in termini matematici. Questo assunto è stato inficiato dalla teoria dei giochi di Albert Tucker con il famoso “dilemma del prigioniero”. Il modello proposto dalla teoria economica rimane valido finché il sistema di riferimento viene ridotto a poche variabili, ma non appena il sistema diventa un po’ più complesso quel modello entra in uno stato di entropia. Non a caso sin dalla sua nascita, nella seconda metà dell’Ottocento, la teoria classica ha dovuto eliminare dal suo orizzonte ogni rifermento alla storia o all’antropologia, e parlare di un astratto homo oeconomicus, che mira ad ottimizzare il massimo vantaggio con il minimo degli sforzi.
In effetti, chi vuole individuare regole all’interno del comportamento non sfugge alla critica di voler ricondurre a qualcosa di regolare qualcosa che invece regolare non po’ essere per definizione. Si dà, in altri termini, l’impressione di voler forzare una realtà caotica e irrazionale a una dimensione razionale e prevedibile. Come se si volesse tracciare una linea dritta lungo la quale si può prevedere come in futuro il comportamento si svilupperà, sapendo in anticipo che il suo sviluppo è inevitabilmente accidentato e che avrà un andamento a zig zag. Date queste premesse ci dovremmo rassegnare a vivere in un universo disordinato, in cui fare previsione di qualsiasi tipo diventa un evento del tutto improbabile. D’altro canto, il voler tentare di fare previsione in una realtà che si presenta altamente caotica tradisce l’idea di una mentalità deterministica, che vorrebbe imporre leggi ordinate a fenomeni del tutto casuali. Come si può dunque sfuggire a questo paradosso? In un solo modo: permettendo al caso di svolgere una funzione. Come spiega lo storico della matematica Morris Kline, «quando sei monete sono lanciate in aria, si può avere testa in un numero qualsiasi di monete da zero a sei». Non abbiamo alcuna possibilità di dire quale sarà il numero esatto di monete che daranno testa perché il risultato è determinato da troppi fattori noti e ignoti: «Eppure, se queste sei monete vengono lanciate un gran numero di volte, la teoria della probabilità ci consente di calcolare in anticipo quante volte si avrà zero teste, quante volte una testa e così via fino all’ultima possibilità (M. Kline, La matematica nella cultura occidentale). Il calcolo delle probabilità dipende dal numero di volte che un fenomeno si ripete.
Torniamo dunque al comportamento interattivo. Se analizziamo ogni comportamento come qualcosa in sé, di unico e irripetibile, ci troviamo nella stessa situazione del primo lancio di monete: anche in questo caso i fattori noti e ignoti sono talmente troppi che diventa impossibile poter fare una qualsivoglia previsione. La situazione non cambia neanche quando lo analizziamo all’interno di una sequenza breve di eventi. In relazione a uno “stimolo” ricevuto le reazioni possano essere sempre diverse. Non solo. Ma la stessa possibilità di ricevere uno stimolo diventa un evento inatteso e imprevedibile. Ad esempio, qualcuno cammina lungo un marciapiede, all’improvviso uno sconosciuto senza alcuna ragione plausibile gli dà uno schiaffo: lo schiaffo è un evento del tutto inatteso, è un “caso” che non si poteva in alcun modo prevedere. In sostanza, è intuitivamente impossibile poter ordinare all’interno di uno schema un’infinità di casi comportamentali che possano variare da un momento all’altro. Tuttavia, se poniamo dei limiti plausibili alle forme relazionali in cui avvengono gli scambi comportamentali, tali forme diventano finite. Pertanto, più che prevedere quale sarà il probabile comportamento futuro (cosa impossibile), ponendo dei limiti alle forme di relazione possiamo prevedere come essa cambia in funzione dei diversi comportamenti. Per compiere questa operazione da un lato possiamo richiamarci alla «teoria del caos» di Mandelbrot, dall’altro alla “teoria delle catastrofi” di René Thom. Anzitutto, ogni forma relazionale deve contenere al proprio interno un limite riconoscibile dagli agenti che partecipano. In secondo luogo, tale limite dà una stabilità strutturale alla forma relazionale. Gli agenti che mettono in atto dei comportamenti lo fanno nell’ambito di forme interattive stabilite. Tali forme però non sono statiche, bensì sono dinamiche: ogni minima deviazione, modificazione o perturbazione possano provocare una loro trasformazione. D’altro canto, la stessa sequenza interattiva di eventi è costituita da uno schema minimo che si può ripetere in modo indefinito. Questo schema “frattale” è costituito da ciò che ho definito una triplice costellazione di scambio reciproco. Questa struttura minima rappresenta l’unità frattale, che ripetendosi in maniera indefinita dà forma ad una sequenza ininterrotta di eventi. Questa struttura minima è costituita da tre eventi comportamentali, che ho classificato, rispettivamente, come «comportamento antecedente» (A), «comportamento di ritorno» (R), e come «comportamento conseguente» (C): ogni comportamento messo in atto da un agente viene punteggiato da un comportamento di ritorno del paziente, cui segue, a sua volta, un altro comportamento dell’agente.