Splendida rappresentazione della dea greca che per quanto poco abbia a che fare con le Rune (anche se ci sarebbe da confrontare) rappresenta in sè l’idea di madre
Dopo aver affrontato le dee Freya e Afrodite, vediamo adesso come all’interno delle Rune, si dipana l’idea del femminile, sia connesso all’idea di madre che di operatore del magico (usiamo questa inadatta terminologia anche se la maggior parte degli studiosi parlano di sciamanesimo). Le tre Rune che simboleggiano la donna sono Berkana, Peort e Iss, alle quali per vie collaterali potremmo associare anche Lagu e Ing, ma andiamo per ordine. Berkana con Tyr forma la coppia per eccellenza. Sono il nervo del set runico per quel che riguarda il mondo materiale, perché esse costituiscono il lui e lei che dona la vita. Berkana è la donna intesa come fertilità ma soprattutto come capacità di essere resa fertile. Questa è l’unione con Freya, di cui si parlava nella prima parte di questo articolo e con le tematiche del Seiðr, nel senso di comunione con il mondo esterno-interno e quindi capacità di fruttificare. L’albero connesso alla Rune in questione è secondo la maggior parte delle fonti la Betulla, poiché essa riesce a resistere al freddo glaciale e rinascere di anno in anno, esattamente come la donna che può concepire teoricamente di volta in volta. Il concetto che sta alla base di tutto ciò, è come al solito, quello ciclico del tempo, ripreso dal moto della natura e delle stagioni, che di per sé è connesso automaticamente ai transiti del cielo. Dice un vecchio proverbio “non muove foglia che dio non voglia”. E’ un discorso banalmente applicabile alla cultura norrena in cui dominano le divinità espressione del mondo naturale: ogni cosa si muove secondo uno scopo preciso, ed è causa – conseguenza di altre cause che a loro volta saranno cause-conseguenza di altre situazioni, in un gioco di trame ampiamente definibile nel corso degli eventi ma in un certo qual modo già definito. Significa che se il contadino pianta un seme di melo, otterrà con la buona stagione un bell’albero di mele. Se saprà coltivarlo l’albero crescerà e darà i suoi primi frutti. Se il contadino continuerà ad occuparsene sapendo aspettare i tempi maturi, avrà sempre mele buone sulla sua tavola. Oggi giorno tutto questo può sembrare sciocco, ma in questa storiella si nasconde la saggezza antica. La donna è come il nostro albero di mele, con la differenza che la sua terra fertile la porta nel ventre. A seguito dell’amplesso essa può partecipare alla trasformazione della natura e effettuare il suo compito, per il quale è nata: procreare, ovvero trasformare. Il femminino sacro del resto è un bacino, un contenitore. In altri ambiti, si parla per la femmina di ‘potere passivo’ , ovvero reazionario, conservatore. La donna porta dentro di sé il passato, lo lascia maturare e lo conserva nel futuro per insegnare. Allo stesso modo essa protegge e cura i suoi figli, e coloro che levivono intorno, tanto che il suo corpo è strutturato per essere morbido e accogliente, a differenza del corpo maschile progettato per distruggere e difendere. Berkana riassume in sé tutto questo universo del femminile, che molti riducono esclusivamente alla gestazione. Non che non vi sia connessione, anzi, ma è sempre bene ricordare che la gravidanza di cui la Runa parla è sempre connessa al Seiðr e alle sue possibilità, per cui la rete di significati che il segno nasconde è decisamente più ampia e variegata e non prescinde da un attaccamento quasi ombelicale della donna alla terra, per una funzione specifica che vede il pianeta come la donna e la donna come il pianeta. Senza questa sottile idea che unisce la Runa alla vagina, all’utero e al seno, non si può pensare di possedere Berkana e attivarla. Peorth invece rappresenta un altro stadio della creazione e dell’essere femminile. Se Berkana è la possibilità, è il potenziale, Peorth è l’atto in sé, l’espressione di quella potenza femminile. Ogni donna nasce con le qualità che tale la rendono, ma non è detto che tutte arrivino a sfruttarle. Peorth di suo simboleggia l’utero, il sacco amniotico e qui si potrebbe aprire un capitoletto a parte, solo per descrivere le corrispondenze tra utero e mito. Sinteticamente, l’utero è una porta (qualcuno ha mai sentito parlare delle porte dello zodiaco? Del Cancro e del Capricorno? Delle vie dei draghi?), una sorta di universo parallelo in cui si genera la vita. Se guardiamo alla mitologia classica già potremmo fare un raffronto tra il sacco di bue che contiene il miele, che poi conterrà il vino capace di ‘non morire mai’. Sono concetti abbastanza ostici per coloro che non trafficano nel settore, ma se può essere di aiuto, vorrei sottolineare che la psicologia antica creava molte metafore per raccontare. L’utero materno è un sacco, un contenitore, una caverna, un luogo angusto ma caldo e spesso nel mito come nel sogno, è simboleggiato da sacchi di vitello che in antichità erano usati anche per conservare il miele, sostanza che non solo per le sue caratteristiche ricorda lo sperma maschile (se qualcuno ha mai letto Omero, noterà che l’eiaculazione divina produce sperma d’oro) ma che è incorruttibile nel tempo. Karl Kerényi , uno dei più grandi studiosi del mito, fa un collegamento ancora più profondo con il tema dell’uscir fuori di sé (nel senso di morte) e Dioniso: vino – miele (in antichità il vino si mesceva col miele sia perché era molto forte, sia perché prima della scoperta del succo d’uva si usava il miele, di cui infatti è rimasto il ricordo sia nell’idromele che nel nettare degli dei) simboleggiano l’utero materno e quello che vi accade dentro ma sono attributi non della dea madre ma del piccolo Dioniso, successore indiscusso di Zeus, il dio smembrato e ricomposto, che porta agli uomini la capacità di essere ciò che non sono. Dioniso è per Kerényi la zoe (vita animale) non la bios (sempre dal greco, la vita in senso di esistenza) ovvero quella forza della natura di spaccare ogni cosa e poi ricrearla. Una sorta di Kaos ordinato e necessario, perché (e gli antichi lo capivano meglio di noi moderni) quando un sistema è vecchio e stantio, occorre distruggerlo per creare nuove possibilità di vita. Peorth sottintende tutto questo. Essa è l’utero che si apre, la porta che conduce alla vita e con Berkana costituisce tutto il potere femminile, a patto che la donna ne sia pienamente consapevole. Molti runologi la vedono anche connessa al sesso o alle gioie del gioco, data la sua forma di contenitore che si apre, che lancia. Mi piace particolarmente l’idea del dado che viene lanciato. Simboleggia due cose: la vita e le Rune, perché vale la pena ricordarlo, le Rune si lanciano non si estraggono. E se il gioco del lancio dei dadi è per antonomasia connesso al destino, penso che l’idea di un bambino lanciato dall’utero possa magnificamente riproporre il trauma della nascita e la responsabilità di cui ogni uomo si carica al primo vagito. Infine c’è Iss, che spesso è identificata con il ghiaccio. La Runa rappresenta il grande potere della madre che dopo aver avuto l’idea e la possibilità (Berkana) di procreare, ha fatto maturare e ha partorito il suo frutto (Peorth) ora ne conserva la stabilità con Iss. Stiamo in sostanza parlando di quel segno capace di stabilizzare le cose, di renderle eterne. Immaginate l’Europa del Nord di secoli e secoli fa, dove il ghiaccio ricopriva buona parte del paesaggio. Le popolazioni che li vi si sono stabilizzate hanno imparato a conviverci, tanto da capire come sfruttarlo e usarlo per sopravvivere. Iss racchiude questa capacità tipica della madre con una punta d’ombra: il ghiaccio conserva ma uccide. Vale la pena di nominare le Lamie, le Lilith della mitologia e della letteratura e di aprire una piccola parentesi sulla posizione della donna rispetto all’uomo. Non va dimenticato che il maschio prova desiderio per un corpo che non solo lo ha partorito, lo ha anche allattato e che culture intere hanno creato modelli e miti per parlare di questo disagio. Il rapporto con la madre è basilare per un uomo, perché è su quella struttura che egli si rapporterà al genere femminile. Tutti oggi giorno mastichiamo un po’ di psicologia e sappiamo quanto un rapporto d’amore possa diventare anche claustrofobico, divorante, accerchiante tanto che molti uomini esplodono, spesso violentemente. Senza contare la letteratura che ci offre una vasta gamma di femmè fatale o timorosi angeli del focolare. La donna può creare come distruggere, può conservare come annullare, può spaccare come ricostruire e il suo agire mina emotivamente l’uomo, sin dalla culla. Perché se una madre non bada al bambino, questo muore. Iss rivela anche questo, ed è un aspetto da non sottovalutare soprattutto nella cultura norrena, dove la donna era un elemento attivo della società che contribuiva a pieno titolo al sostentamento della famiglia – clan. Alcuni vedono in Iss anche una connessione col mondo ultraterreno, per quel che mi riguarda penso che tale legame sia posticcio in virtù della triade greca Demetra, Kore Persefone- Ecate, dato che la madre riaccoglie in sé il figlio morto per farlo rinascere a nuova vita. Non esistono Rune che abbiano a che fare col mondo dei morti perchè non è questo il loro principio vivificatore, in particolar modo rispetto a segni che hanno a che fare con la creazione. In ultima analisi Lagu e Ing, le Rune citate all’inizio dell’articolo possono essere in modo collaterale agganciate al simbolo materno perché la prima è l’espressione del lago, del sentimento, del sostrato emotivo che caratterizza la linea del femminile, del deposito, del contenitore, del ‘sempre sarà così’ e la seconda perché (per quanto io la ritenga posticcia è legata all’idea delle sementi e del raccolto. Ing è una specie di rombo, un seme con la possibilità di essere piantato. Ma anche qui, purtroppo, la maggior parte dei runologi dimentica cosa sia una Runa e si lascia ingannare dall’aspetto grafico, che è insignificante. I bastoni che formano i segni sono Vettori non sono linee per disegni. Quando si studiano le Rune, non si dovrebbe leggere ne guardarle. Banalmente bisognerebbe sentirle e quindi comprenderle. Questa è una sintetica panoramica nel mondo del femminile e delle Rune. Spero di essere stata chiara, ma per qualsiasi domanda o chiarimento, sono a disposizione.
Roberta Tibollo
Rappresentazione moderna dell’idea di dea madre antica