Mater monium
14 maggio 2014 di Vincenzo D'Aurelio
R. Menzo, “Madre con bambino” (2013) http://www.notizie.comuni-italiani.it
L’uomo è per la donna un mezzo: lo scopo è sempre il figlio.
(F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra)
Ordinariamente al termine ‘matrimonio’ è associato quello di ‘unione’ tra due individui di sesso opposto. Più dettagliatamente la “Enciclopedia Italiana online” edita da Treccani, spiega che esso è una «unione fisica, morale e legale dell’uomo (marito) e della donna (moglie) in completa comunità di vita, al fine di fondare la famiglia e perpetuare la specie». Nel “Dizionario della Lingua Italiana” pubblicato da Zanichelli, invece, è la «unione legittima dell’uomo e della donna per creare una famiglia e perpetuare la specie». Tale definizione è molto vicina a quella riportata nell’ultima edizione, precisamente la quinta (1863-1923), del “Vocabolario degli Accademici della Crusca” dove è descritto come «unione e convivenza legittima dell’uomo con la donna a fine di procreare figliuoli».
Nelle tre esplicitazioni sono evidenti le divergenze formulate per accreditare le qualità tipiche di una unione finalizzata alla realizzazione del matrimonio. Al contempo, però, le stesse convergono nel fine ovvero quello di “procreare per perpetuare la specie”. Tutto questo è spiegabile considerando la necessità di disciplinare l’unione matrimoniale, qualunque sia l’ambito di applicazione, come una sorta di aggiunta – dovuta – a una ‘tradizione’ molto antica che, per sopravvivere nei secoli, ha dovuto subire, pur restando immutato l’originario scopo, una adeguazione alle caratteristiche e alle esigenze di una certa società attiva in un determinato tempo.
Il matrimonio, quindi, non è una unione qualunque tra esseri di diversa natura sessuale ma è il passaggio da uno stato di singolarità a quello di comunione con fine procreativo. Nell’etimologia stessa della parola ‘matrimonio’ è contenuto proprio questo valore originale del termine che, malgrado sia stato smarrito a causa di un’espansione del concetto, rimanda specificatamente alla funzione del “perpetuare la specie” ovvero del “generare filiazione”. Scrive Vera Gheno, apprezzatissima docente di Italianistica presso l’Università degli Studi di Firenze, che «la parola ‘matrimonio’ continua la voce latina matrimonium, formata dal genitivo singolare di mater (ovvero matris) unito al suffisso –monium, collegato, in maniera trasparente, al sostantivo munus ‘dovere, compito’» (1). Attraverso l’etimologia, quindi, è anche messo in risalto il ruolo fondamentale svolto dalla donna nell’ambito del matrimonio e cioè è ad essa demandato il compito/dovere di procreare ovvero di passare dallo stato di semplice donna a quello di madre. È palese che se nella concezione moderna di matrimonio la figura della donna è enfatizzata col passaggio al ruolo di “moglie” (al contrario in Treccani), nel pensiero antico, invece, è innalzato quello di “madre” tanto da poter affermare che quest’ultimo precede per importanza sia quello di “moglie” se non pure quello di “padre” (al contrario in Zanichelli). In tal merito conforta la prima edizione del “Vocabolario degli Accademici della Crusca” (1612) dove è scritto che il «Matrimonio è una congiunzione dell’huomo, e della donna, la quale ritiene una usanza di vita, la quale dividere non si può. E perché nel matrimonio apparisce più l’uficio d’esso nella madre, che nel padre, perciò è determinato più dalla madre, che dal padre. Matrimonio, tanto è a dire, come uficio di madre» (2).
Il termine ‘matrimonio’, dunque, etimologicamente non permette alcuna estensione del suo significato – semmai ne riduce l’ambito linguistico di utilizzo – ed eleva il ruolo della donna a quello di madre. La generazione della prole è il fondamento della parola e in questo suo significato originario è facile scorgere l’orizzonte culturale e cultuale nel quale la “fertilità femminile” fu spostata dal piano prettamente biologico a quello divino. È insita nella Natura la sopravvivenza della specie, è la legge primaria della vita ed è la straordinarietà della gestazione e del parto a dare alla donna quel ruolo di madre nel cui termine si avverte il valore di “principio”.
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(1) V. GHENO,Risposta ai quesiti di Salvatore De Maria e Simone Carcano sull’etimologia e sul significato della parola matrimonio, in «La Crusca per voi», 32(2006), p. 10.
(2) È una passo tratto dalla trecentesca “Pisanella” detta pure “Maestruzza” o “Bartolina” ovvero il volgarizzamento di fra’ Giovanni delle Celle (1310; 1394-1400) dell’opera Summa casuum conscientiae di fra’ Bartolomeo da San Concordio (1262-1347).