Grazie ad una collaborazione tra l’École Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL) e della University of Edinburgh, un gruppo di ricercatori ha studiato 72 ammassi di galassie interagenti per capire come si comporta la materia oscura quando essi entrano in collisione nel corso di miliardi di anni. I risultati, pubblicati su Science, contraddicono almeno una delle maggiori teorie su questa enigmatica componente dell’Universo.
La materia oscura rappresenta uno dei misteri più grandi della fisica moderna. Essa costituisce la maggior parte della materia presente nell’Universo, è invisibile e non corrisponde a qualsiasi altra cosa che fa parte della nostra esperienza. Teorie diverse competono tra loro per trovare una spiegazione ma finora nessuna di esse ha dato buoni frutti. Nonostante la materia oscura tenga conto del 90% di tutta la materia presente nell’Universo, e più di un quarto del contenuto materia-energia, sappiamo ancora molto poco sulla sua origine e natura. Una delle idee più seguite nell’ambito della comunità scientifica è che la materia oscura consista di una nuova particella subatomica che non abbiamo ancora scoperto. Teorie più stravaganti ed esotiche suggeriscono, invece, che essa sia una sorta di “difetto quantistico”, apparso sin dalla nascita dell’Universo, oppure che possa essere una specie di massa extra-dimensionale o ancora una forma modificata della gravità.
Ciò che sappiamo per certo è che la materia oscura interagisce con le strutture cosmiche attraverso l’interazione gravitazionale, modellandole e dando loro una certa forma. Sappiamo, ad esempio, che la materia oscura “piega” la luce quando la attraversa, deformando le immagini di oggetti distanti secondo un effetto previsto dalla relatività generale e noto come lente gravitazionale. Inoltre, la materia oscura può influenzare il moto delle galassie di un ammasso, costituito dal 90% di materia oscura, e questo li rende laboratori ideali per studiarla in dettaglio, specialmente quando essi iniziano a collidere forzando le rispettive distribuzioni di materia oscura ad interagire.
Il gruppo di ricercatori, guidati da David Harvey dell’EPFL’s Laboratory of Astrophysics, ha esaminato 72 ammassi di galassie interagenti per trovare dei nuovi indizi sulla natura della materia oscura. Questi “scontri galattici” sono molto lenti perchè avvengono nel corso di miliardi di anni ed iniziano nel momento in cui le loro gigantesche masse iniziano ad interagire a causa della reciproca attrazione gravitazionale. Quando ciò accade, la materia oscura in ogni ammasso interagisce con quella dell’altro, un fatto che offre una opportunità unica per studiare questi particolari fenomeni astrofisici.
L’immagine del Bullet Cluster ripresa da Chandra con un tempo di esposizione di 140 ore. Si nota la forma a ‘proiettile’ del gas a seguito dell’interazione dei due ammassi. Credit: NASA/Chandra X-ray Observatory
I dati sono stati ottenuti a seguito di una serie di osservazioni realizzate con l’Osservatorio Spaziale Chandra e il Telescopio Spaziale Hubble. Essi includono, tra l’altro, il cosiddetto Bullet Cluster, un esempio di interazione tra due ammassi di galassie dove il gas è stato modellato nella forma di un “proiettile”, da cui deriva il nome, la migliore evidenza sull’esistenza della materia oscura. L’obiettivo della ricerca è stato quello di misurare la variazione della velocità della materia oscura quando due ammassi entrano in collisione. Gli esperimenti a Terra, come quelli che vengono realizzati al Large Hadron Collider (LHC), suggeriscono che quando due particelle subatomiche interagiscono esse modificano il loro valore della velocità. Perciò, tenendo conto di ciò che accade alla materia oscura dopo l’interazione tra i due ammassi, gli astronomi potrebbero essere in grado di derivare alcune conclusioni in merito alle sue proprietà fisiche.
Per verificare la teoria secondo cui la materia oscura è costituita da particelle, gli autori hanno proposto due possibili scenari: nel primo, si suppone che le particelle di materia oscura interagiscano in maniera frequente ma subiscono una minore variazione di velocità; nel secondo, si assume che esse interagiscano raramente subendo una maggiore variazione di velocità. Nel primo caso, la materia oscura dovrebbe rallentare subito dopo la collisione, poiché le frequenti interazioni tra le particelle dovrebbero causare una ulteriore “resistenza”. Nella seconda ipotesi, la materia oscura potrebbe essere diffusa durante l’interazione e perciò essere dispersa nello spazio. Tuttavia, e con grande sorpresa, gli scienziati hanno scoperto che la materia oscura di un ammasso attraversa indisturbata, e senza interagire, quella dell’altro ammasso. Ciò implica che le particelle non interagiscono con sé stesse altrimenti tale processo determinerebbe un rallentamento del moto associato alla materia oscura. In altre parole, la materia oscura potrebbe interagire in modo “non gravitazionale” con la materia ordinaria, cioè quella visibile, un processo che non avviene quando essa interagisce invece con sé stessa.
Questo studio sembra contraddire il pensiero secondo cui la materia oscura consiste di particelle simili al protone, o forse di qualche altro tipo similare. “Riteniamo che la probabilità di interazione di due particelle di materia oscura sia inferiore a quella relativa al caso di due protoni. Ciò implica che la materia oscura non sia costituita di ‘protoni oscuri’ in quanto se ciò fosse vero ci aspetteremmo di vederli ‘rimbalzare’ a vicenda”, conclude Harvey. Infine, secondo gli autori, ulteriori ricerche riguardanti le collisioni galattiche dovrebbero permettere in futuro di rivelare nuovi indizi, in generale, sulla distribuzione e la presenza di materia oscura nell’Universo.
Science: D. Harvey et al. – The nongravitational interactions of dark matter in colliding galaxy clusters
Fonte: Media INAF | Scritto da Corrado Ruscica