Materia sempre più oscura

Creato il 12 dicembre 2011 da Stukhtra

Vacilla il modello più diffuso per la distribuzione della dark matter nelle galassie

di Andrea Signori

Alcuni sostengono che è la soluzione sbagliata a un problema inesistente. Altri le si dedicano fedelmente anima e corpo. Molti la cercano nelle profondità delle galassie, altrettanti nelle risonanze prodotte nei grandi acceleratori di particelle: stiamo parlando della materia oscura. Il nome non poteva essere più azzeccato. Perché poche sono le certezze che gli scienziati dispongono circa la sua natura fisica. E, da oggi, sono ancora meno. Infatti una ricerca condotta da Matt Walker e Jorge Penarrubia, scienziati rispettivamente dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e dell’Università di Cambridge, in Inghilterra, smentisce il modello più accreditato per la distribuzione della componente oscura della materia nelle galassie.

La materia oscura c’è ma non si vede: poiché non interagisce direttamente con la radiazione elettromagnetica, non possiamo catturarne immagini utilizzando dei telescopi. Tuttavia è possibile coglierne la presenza studiando i suoi effetti gravitazionali: il teorema del viriale, lo studio delle curve di rotazione, il lensing gravitazionale sono le principali tecniche di indagine utilizzate. Da queste analisi emerge che senza la materia oscura le galassie non potrebbero formare sistemi legati e stabili: è quindi tutt’altro che una componente trascurabile.

Lo studio della materia oscura può essere condotto a scale complementari: al livello cosmologico i dati sperimentali ci parlano della natura fisica della componente oscura, mentre le osservazioni alla scala astrofisica sono determinanti per capire come e in che quantità è distribuita all’interno delle galassie. Fino a oggi i dati ottenuti sulla distribuzione della materia oscura nelle galassie erano ben interpretabili utilizzando il modello di sfera isoterma (singolare o regolare), secondo cui la concentrazione è più alta nel nucleo galattico rispetto alla periferia. Gli studiosi, inoltre, ritengono che le strutture cosmiche si siano aggregate secondo lo schema bottom-up (cioè dapprima si sarebbero formate le singole galassie e poi gli ammassi): da ciò si può dedurre che la materia oscura è sostanzialmente “fredda”, cioè in regimi di velocità non relativistiche (molto minori di quella della luce nel vuoto).

La galassia nana della Fornace. (Cortesia: ESO/Digitized Sky Survey 2)

Tuttavia la scoperta di Walker e Penarrubia rompe le uova nel paniere degli astrofisici: le galassie nane della Fornace e dello Scultore sono caratterizzate da una distribuzione spaziale pressoché uniforme di materia oscura, in contrasto con le predizioni effettuabili attraverso il Modello Standard della cosmologia (Lambda-CDM). Essendo composte per circa il 99 per cento di materia oscura, le galassie nane si prestano particolarmente a questo tipo di studi. Non sono però solo rose e fiori: la principale difficoltà sta nella ricostruzione delle orbite delle stelle, in questo caso tridimensionali. In altri tipi di galassie, come quelle a spirale, le stelle orbitano principalmente in un piano (il disco galattico) e ciò ne semplifica l’osservazione.

La discrepanza tra il modello teorico e i risultati sperimentali ottenuti è interpretabile in vari modi. “La componente oscura in esame potrebbe, per esempio, essere non fredda”, sottolinea Walker. Oppure si potrebbe ritoccare l’interazione gravitazionale tra le componenti luminosa e oscura della materia (in maniera simile a ciò che propongono gli scenari di MOND).

In fondo la situazione non è poi così grave. Un risultato sperimentale che falsifichi un modello non è certo una sconfitta. Anzi, è uno stimolo ad approfondire la conoscenza di un settore davvero “oscuro” della fisica.


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