Conosco da tempo queste prose di Alessandro, tutte dedicate alla sua città – Ascoli – che lui mi descriveva, in un lontano incontro del 1994, come una città dell’anima.
Piazza Del Popolo in particolare, “osservo la grazia severa di questa piazza”; certo congeniale alla sua poetica “intima e incomprensibile” (che) ”affiora da quella occulta vita che precede il pensiero”.
Forma, dunque, di questa città, nella misura che ne danno gli uomini; geometria del pensiero e metafisica delle nuvole che si incontrano nella linea del campanile dove “la croce somma alla terra il cielo”. L’infinitamente grande pretende una forma, un’incarnazione nel luogo predisposto ad accogliere il simbolo, l’allegoria dell’infinito. “Ascoli vista da quassù, sembra d’avorio: una pietra chiara, dura, smorzata in una luce di cenere”.
Geografia dell’anima, quindi, necessità della terra; sguardo sulle cose dall’alto come a voler raccontare un senso stretto, estraniato; la volontà di esistere – non persi – ma nella dimensione dell’esistenza e della necessità. E nella luce, infine.
Sebastiano Aglieco