Magazine Poesie

materiali da “Land”: Giovanni Nuscis

Da Narcyso

nuscis 234

Con questa tensione intendo leggere il primo testo del libro di Giovanni Nuscis:

Una muta di occhi

ti insegue

nella notte vascolare

nell’intrico di rivoli

e fiumane di rubini

bilie di ossigeno in corsa

lungo navigli di arterie

Colpi di tosse

brevi

e vai avanti.

Attendi per fermarti il fiato caldo

sulla nuca

l’ala sulla scapola.

La mano nel buio

nell’altra

invisibile di brina

e ben venuto sei

nell’ascendenza infinita

(p. 17)

Basterebbe fermarsi su questo testo per cogliere alcuni passaggi del discorso a cui ho accennato prima: la poesia è una lingua che attraversa il corpo prima di diventare parola, giunta dall’intrico di vicoli lungo navigli di arterie. Giunge attraverso i condotti acquatici del corpo; sulla nuca, l’ala sulla scapola.

Qualcosa che arriva, dunque, si fa contaminare dal fiato, vuole voce, è data, è la parola data. Tutto questo dalla confusione, dalla dispersione degli anni, da tutto il tempo.

Questo testo iniziale è dunque un’accoglienza, un volo verso il corpo, la cassa di risonanza di questa voce. E allora prosegue il viaggio di questo corpo  che porta il fardello della voce nel mondo: nel quotidiano nostro, doloroso e sbalestrato; nel ventre della città, nel suo delirio; nella sua accoglienza pagata a caro prezzo; un dire diverso verso cui la tecnologia ci conduce.

Rimane, però, febbricitante ma ancora salda, la dignità della parola, la resistenza a un perdersi, a non frangersi. Ma anche con rabbia, con risentimento, con armi spuntate: con immagini piene, malgrado tutto, a tutto tondo, scolpite senza perdere il senso del contorno, dell’immagine, in modo che tutti possano capire:

Da un fitto di voci

sali a fatica

raschiando la pancia e il viso…

(p. 54)

Figlio in piena notte

bagnato, la pioggia

d’un incubo o di un sogno.

(p. 45)

Invecchiano gli angoli,

da acuti si fanno ottusi.

(p. 50)

ma si potrebbe continuare a lungo.

Ci sono passaggi, poi, dove la lingua si sporca, accoglie parole inusuali, immagini forzate, cosa che sempre avviene quando si vorrebbe incidere, uscire fuori dal mondo, adottare la formula del grido. E invece non c’è il grido.    C’è, piuttosto, una tendenza a rintanarsi; il nascondimento:(la coperta del cielo, p. 40); (mai/aperto a un sorriso, p. 50). Contro la bestia in agguato: (Sfonda la rete la bestia/e si sconosce e teme, p. 61).

Nei suoi passaggi migliori il libro stride nell’affronto del dentro e del fuori; tra una parola che si ostina a non rinunciare alla sua funzione di mezzo, e il fuori che preme, maschera orrifica della modernità.

 (Sebastiano Aglieco)

TESTI

 


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