Magazine Poesie

materiali da “Land”: Luigi Cannillo

Da Narcyso

cannillo 2222Ancora un fare i conti con la morte della propria madre; madri che pretendono una lezione ultima, per insegnarci a morire. L’allievo, questa volta, è Luigi Cannillo.
Un nucleo di poesie concentrate intorno ai gesti postumi, allo sguardo del figlio che, nell’assenza, improvvisamente deve capire e ricostruire. Così quest’ordine “è il modo di essere nel mondo intero che viveva dentro il suo respiro, il suo sguardo e che si manifestava nella cura”, (Corrado Bagnoli nella presentazione).
Un rendiconto personale, quindi, una distanza necessaria per dare senso a un’intera vita. La morte della madre tutto è, tranne che una questione sentimentale.
Sono poesie che ci dicono di un cammino di vita e di scrittura; così la parola si fa responsabile, attenta a un senso sempre più preciso che ormai caratterizza le ultime prove di Luigi. Le immagini vogliono respirare in un ordine; sembra quasi che ogni parola sia dovuta per compito. I versi non si sciolgono; restano alti, chiedono al lettore un’attenzione, un essere presenti, in coro.
Questa attenzione si realizza nella lentezza della lettura, come la restituzione di un ordine. Troviamo le ricorrenze del limite, della ginestra abbarbicata sui confini: estremo atto di speranza; parole che vorrebbero custodire ciò che resta nel dolore delle case.

Più t’incammini e la materia
si esaurisce asciugata dalla luce
che resta a segnare i confini
La distanza fra le case
ogni dislivello, tutto
pulsa unito in questo salto

Ecco: da una parte la distanza, la corsa verso un’infinita luce; dall’altra la finitezza che ci abita e che non ci chiede la resa ma l’ordine, il senso compiuto nella nostra vita. Ora. Qui. Perché dopo è il tempo di un altro respiro, la dispersione delle orme, quando la storia tornerà al mistero.
Ancora una volta, mi sembra di capire, l’esperienza del distacco dalle cose, è la necessità della maturazione, del passaggio in un secondo tempo della vita quando una voce ci parla più sommessa, senza urlare, e ci chiede uno sguardo più aperto, capace di abbracciare anche la morte, di darle una forma e un nome meno terribile.

Restano spalancate le lenzuola
e lo spazio del sentiero limpido
si perde nelle future stanze
sulle terrazze aperte
verso un campo in trasferta
Dove stai andando,
dimmi, così di corsa?
Non c’è voce umana a raggiungerla
né sguardo che la insegua
se una forza uguale e contraria
alla vita la convoca e spinge
come volando,
come freccia scoccata nella nebbia

Sebastiano Aglieco


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog