La vita di emigrata è affollata di alti e bassi. Lo penso ed è una sera di vera estate, la prima, forse, qui a Londra – un’aria spessa e tiepida che sa di casa e pianura, di zanzare e fuochi d’artificio. Ma non è casa, e a ricordarmelo ci sono le immagini che la mia finestra svolge appena sollevo lo sguardo: palazzi mattone, il cielo plumbeo che anticipa l’ora blu, il campo da basket dove spilungoni neri e sottili rollano sigarette e ridono. Parsons Green, piccolo polmone a sud ovest di Londra, giusto dopo Chelsea e i suoi abitanti incelofanati e perfetti; un quartiere di gente tranquilla, che porta a casa la giornata per affolare i pub e ammazzarsi di birra, ragazze con le unghie blu e cani senza guinzaglio. A Londra, è forse uno dei borough più vivibili, un sollievo agli occhi stanchi di una ragazza di provincia che credeva di essere fatta per la metropoli e si ritrova a bramare la piazza della sua Lodi la domenica mattina. La scoperta di se stessi e di ciò che non vogliamo è forse il bagaglio più pesante da riportare a casa, se mai un giorno un ritorno sarà possibile. Gli emigrati lo sanno – soprattutto quando sono giovani e non vengono da un Paese in guerra civile e sì, non gliel’ha certo prescritto il dottore, di fare le valigie e andarsene, ma in fondo cosa c’era da fare? Che cosa potevamo inventarci per far valere le nostre passioni e la nostra preparazione? Quando non si emigra per disperazione ma per sentore di sfacelo, non è concesso lamentarsi: potevi restare e provarci di più, potevi accontentarti. Forse sì. Ma la faccenda è più complicata: le radici si fanno scomode e, per curiosità e fame di orizzonti, decidiamo di andarcene. Si diventa adulti nel giro di due giorni, perchè manca tutto: i soldi, una casa, gli amici, la mamma, la lingua – qui da dove scrivo, in aggiunta, manca il sole, il prosciutto, un mare dove nuotare e verdure non plasticate. Arriviamo e ci proviamo. E tutto, lentamente, assume i contorni di una quotidianità e di una vita che, finalmente, si ha l’opportunità di costruirsi da sè.
Non male, per noi giovani italiani: un soffio di scirocco in terre gelide, e nei brevi rientri tra le strade di casa sei orgogliosa, vorresti raccontare a tutti perchè sei diversa e come il tuo passo è cambiato. Ci sono i lavori che hai trovato e perso, le topaie in cui hai dovuto vivere, i pazzi che hai incontrato e che sono stati tuoi conquilini; la fretta, il caos, la grammatica, gli ubriachi molesti, chi ti ha aiutato, truffato, derubato, le cose che hai comprato e gettato via, i viaggi in aereo, metropolitana, autobus, bicicletta. Quello che ami di questa vita e ciò che ti fa sanguinare le mani ogni volta che, come un vetro che s’incrina, ti accorgi di andare avanti con due piedi in due Paesi. Gli alti e bassi da emigrata: arrivare, dopo due anni, a volere un ritorno, e rendersi conto che forse sarà più difficile di quanto è stato andarsene, perchè l’Italia è una terra che ti vorrebbe indietro ma non sa dove metterti. E tu la ami di nostalgie e rancori, ogni giorno.
In ogni caso, stasera, è tempo di alti: la giornata è passata in uno dei parchi più belli di Londra, Richmond, dove mandrie di cervi solcani i prati, il vento è pacifico e la città si dissolve in lontananza, come uno sbuffo di materia lunare. Bellezza e basta, e ci si sente molto meglio.