Henri Matisse, The Horse, the Rider, and the Clown 1943-4 © Centre Pompidou, MNAM-CCI, Dist. RMN-Grand Palais / Jean-Claude Planchet © Succession Henri Matisse/DACS 2013
Le forbici tagliano la carta con la destrezza di un sarto esperto. Non un’esitazione, non un ripensamento: pare quasi di sentire il rumore delle lame mentre, dalla carta irrigidita dagli strati di colore, emergono le sagome per i suoi découpage. D’altronde Henri-Émile-Benoît Matisse (Le Cateau-Cambrésis, 1869 – Nizza, 1954) nato in una famiglia di mercanti di stoffe e di tessitori nel cuore industriale della Francia nord-orientale, sin dall’infanzia è sempre stato bravo con le forbici. Il filmato di Adrien Maeghtche, che apre Matisse: The Cut-Outs la magnifica retrospettiva alla Tate Modern, non fa che confermarlo.
Grande è la soddisfazione di Nicholas Serota, il direttore del museo londinese che con Nicholas Cullinan del Metropolitan di New York ha curato la mostra, per aver riunito nella capitale britannica oltre 120 di questi fragili papiers découpé creati da Matisse tra il 1943 e il 1954.
Ridotte all’inizio, le dimensioni delle sagome di carta aumentano con il passare del tempo, via via che ci si addentra nel percorso della mostra. Dalle tavole di Jazz, il libro d’artista pubblicato nel 1947 dall’editore parigino Tériade in sole 250 copie, alla luminosa vetrata Notte di Natale (1952) appartenente alla decorazione creata per la Cappella del Rosario a Vence, l’esplosione dei colori primari nelle composizioni di Matisse è inversamente proporzionale all’aggravarsi della sua malattia e al suo declino fisico.
Pittore, incisore, illustratore, stampatore e scultore, Matisse non è nuovo all’uso di queste forme ritagliate dalla carta per pianificare e creare le sue opere. Ma è solo dal 1941, quando un grave intervento chirurgico per rimuovere un tumore all’intestino gli impedisce di dipingere al cavalletto, che queste “sagome” diventano opera d’arte indipendente. Confinato su una sedia a rotelle, Matisse si inventa un modo per creare con le forbici. Come il suo primo periodo di prolungata convalescenza nel 1890 lo aveva avvicinato alla pittura, così il secondo segna l’inizio della sua “seconda vita”: impossibilitato ad uscire, l’artista porta il giardino dentro casa trasferendo sulle pareti del suo appartamento di Nizza il colorato universo della sua anima.
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