"Se questo è un film..."
"Silvia, rimembri ancora...". La Buy si commuove al sentire le celebri strofe. Forse non sta recitando. Forse sta guardando sè stessa in uno specchio. Forse non recita mai. E' fortunata Margherita. Occhioni blu, slanciata, poco mediterranea. Se ne avesse la consapevolezza, potrebbe uscire da casa, e andare sul set, senza aver letto e memorizzato il copione. Colpa di chi le scrive i ruoli, di chi l'ha glorificata come attrice eccellente, di chi l'ha premiata. Merito suo, quello di aver scelto una strada facile. Il ruolo, di norma, è drammatico, anche in una commedia. Nel dramma, è ancora più ovattato, tanto che non si percepisce un solo sentimento. Nel film della Di Maio, interpreta una donna adulta, ma piuttosto che la figlia-enne di Massimo De Francovich, sembra la compagna-anta, per altro non con troppa differenza d'età da richiamare tabloid. Ma "Matrimoni e altri disastri" non ha come principale problema la Buy. Anzi, forse è una delle cose che passano quasi inosservate, se non fosse che ha i tempi comici di un bradipo austero. Quando è in macchina con Fabio Volo, non si sarà accorta che non c'è più Stefano Accorsi accanto a lei e non è la povera donna cornificata dal marito defunto, come nel film di Ozpetek, ma in una commedia matrimoniale. Il resto è un succo con tanto zucchero e poca frutta, la frutta del niente. Nina Di Maio cerca di imitare, di ironizzare, di rendere i suoi caratteri originali e disarmonici. Riesce a storpiare, rendere sotto forma ideologica la società e trarre delle conclusioni tramite dei tipi-personaggio venduti ai grandi magazzini della sceneggiatura. Il livello del film, "Grandi magazzini" di Castellano e Pipolo, non è molto inferiore. E' brava la Di Maio a fare della "paraculaggine" la sua virtù. Ad effigiare l' Italia che mescola Moretti al Cavaliere, la cultura elitaria e la (cul)tura televisiva, Strada a Lapo Elkann, Leopardi a Beck, scegliendo il "mondo" del fare, qualunque cosa si intenda ("fare i comodi propri", "fare il bene", "far niente", "far finta di niente") . A creare una libreria molto inglese, con i colori accesi delle stradette francesi, che sembra uscire dal libro "Cuore". A dare al ragazzetto un soprabito verde chiarissimo che faccia risaltare gli occhi, e a poggiare la testa rossa di Marisa Berenson davanti ad un portone mogano. La Di Maio riesce ad incantare i critici dei giornali, o meglio ad addormentarli con una lunga serie di digressioni, tra corna, famiglie divelte, padri creduti, gelosie da scolaretti, storie intrecciate da una matassa alla Beautiful, bagni fradici, uomini che si baciano, gatti (il gatto è il personaggio più risucito del film), Medici senza Frontiere, bomboniere, celebrazione in Chiesa con starnuto "freudiano", preti che sono affetti dal morbo della stupidità arteriosclerotica. E non è finita, per arricchire il sapore, mette dentro un ex-venditore di qualche aggeggio culinario (32.000 i pezzi venduti in un anno), che sembra uscito da Peter Pan, senza nè madre, nè padre, che sbiascica parole umane, mentre gli intellettuali si danno le arie e lo rendono un pulcino ferito. La Di Maio non la smette e ci suggerisce quale sentimento attribuire ad ogni suo personaggio. E' molto televisiva, in questo. E' una sorta di narrazione a tesi, di quelle ideologico-popolari, di quelle finto-comiche, finto-spudorate. Guai a vedere qualcosa di diverso da quello che vuole. Dirige gli attori la regista, ma dirige soprattutto noi. Un ultimo dubbio mi attanaglia: di che razza è il gatto? Ne voglio uno. E soprattutto ha firmato una deliberatoria per diventare un cat-star in una produzione così orrenda? Non vorrei avesse problemi traumatici di immagine. Torniamo agli attori. La Buy fa la Buy, Volo fa Volo in versione destroide, con la stessa incapacità (forse addirittura in crescita negli ultimi anni), La Inaudi fa l'attrice di sinistra, o meglio, è quel misto teatral-televisiv-cinematografico esempio di attrice che se la canta e se la suona. Da sola.Magazine Cinema
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