Cosa separa il desiderio dall’illusione? «Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore» (frase di don Luigi Giussani sulla quale i ciellini si sono autoconvocati quest’anno): intimissimo di Giussani e di Cl, dunque affidabilissimo, il cardinale Angelo Scola ci spiega che il «desiderare cose grandi» dev’essere inteso come il «tendere di tutto il mio io all’incontro, inevitabile ed insuperabile, con il mondo reale». In Giussani, «cuore» e «natura» sono chiamati a dare il meglio della loro ambiguità e la loro vaghezza millanta autoevidenza (anche in modo fastidioso, devo dire); in Scola, il «cuore» è «l’io che anela all’infinito nell’incontro con la realtà totale» e per «natura» deve intendersi l’elemento creaturale. Ecco perché chiedevo: cosa separa il desiderio dall’illusione? In altri termini: dove sta l’autoevidenza del quid che trascende «cuore» e «natura» (Dio)? Dov’è dimostrata la trascendenza? Se questo anelito mira a vuoto, Dio è un’«illusione» (Richard Dawkins). E dunque, ancora: cosa separa il desiderio dall’illusione? Direi: il senso del limite.
Mi scuso per la lunga citazione, ma penso valga la pena.
«Molti di voi avranno visto Matrix, il celebre film dei due fratelli polacchi Wachowski. […] In Matrix – dice Scola – viene descritto il nostro mondo di tutti i giorni, ma si fa l’ipotesi che sia solo un paravento per nascondere la realtà vera. Quale sarebbe? L’umanità sopravvissuta dopo un disastroso evento cosmico, per continuare ad esistere ha avuto bisogno di speciali macchine. E queste hanno finito per prendere il sopravvento. E chi le controlla ha preso il potere. L’umanità quindi vive nell’illusione. Gli uomini non sono più liberi. Nessuno è a conoscenza del tempo che è passato da quando il potente neurosimulatore Matrix ha assegnato una data fittizia allo scorrere della storia. Solo Neo, con l’aiuto del pirata informatico Morfeo e della bella Trinity, può tentare di scoprire la verità e far ritrovare agli uomini la libertà. In cosa consiste la verità? Lo dice con chiarezza Morfeo accogliendo Neo sulla sua bislacca nave in lotta per la libertà: “Benvenuto nel mondo reale”. Riflettiamo un istante su questa affermazione in cui sono presenti due elementi fondamentali. Il primo è identificato dall’espressione mondo reale, cioè le cose come veramente sono. Quelle che i miei sensi percepiscono – questo bicchiere, il microfono, il cielo, il mare – e quelle di cui mi offrono qualche indizio perché la mia intelligenza possa riconoscerli: lo sguardo di chi ho di fronte, il sorriso dei figli, il volto dell’amata, il gusto del lavoro, la sofferenza per il male fisico, il dolore per quello morale, la paura della morte, l’angoscia annoiata del vivere senza senso… Il mondo reale appunto! Ma l’affermazione di Morfeo contiene anche un altro decisivo fattore, concentrato nella parola composta: “Benvenuto”. È bene che tu Neo sia entrato nel mondo reale: è bene per te, ed è bene per noi! Non è forse questo il senso dei primi sorrisi di una madre al suo bambino? Sorrisi che questi impara subito a ricambiare. Cosa significano se non “è bello che tu sia venuto al mondo (reale), è bene per te, è bene per tutti”? Nessuno sfugge a questa esperienza.Al mondo reale io mi rapporto sempre e inevitabilmente secondo quella dinamica, tipicamente umana, che possiamo identificare col termine desiderio. Non si comprende la parola desiderio, tanto meno se si parla di desiderio di Dio, se non la si concepisce come il tendere di tutto il mio io all’incontro, inevitabile ed insuperabile, con il mondo reale. Infatti, secondo la definizione semplice ma completa del vocabolario, desiderio è il “volgersi con affetto a qualcosa che non si possiede e che piace”. Vedete che, come in una calamita, sono sempre presenti due poli. La dinamica del desiderio implica sempre e inseparabilmente la cosa che non si possiede e che piace e il volgersi ad essa con affetto. Sottolineo “con affetto”, vale a dire con la mente, col cuore, con la totalità del nostro io. E Dio che c’entra? Ve lo dico con una citazione formidabile, tra le più potenti di tutta la storia del pensiero, che si trova in un grande libro, ancora oggi, dopo 1600 anni, il più ristampato (se si toglie la Bibbia). «Tu ci hai creati per te ed il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”» [Agostino di Ippona, Confessioni I, 1]. Agostino usa la parola cuore per esprimere il desiderio nella sua ampiezza totale costituita dai due poli prima identificati: l’io che anela all’infinito nell’incontro con la realtà totale. […] Potremmo dire che la natura piena del desiderio è rivelata in ognuno di noi dal cuore. Il cuore quindi è ciò che ci permette di volgerci con affetto a ciò che non si possiede. Soprattutto alle cose grandi! E cosa c’è di più grande di Dio?».Dio sarebbe dimostrato dall’incapacità di tollerare i limiti del reale. Qui, poi, si ha l’ardire di usare l’allegoria che è in Matrix per dirci che l’immanente sarebbe illusorio e il trascendente sarebbe reale. L’anelito renderebbe reale la possibilità di ciò che si anela in forza del suo trascendere il reale. Anelito prossimo alla sfacciataggine: il reale deve piegarsi al desiderio, sennò Scola lo degrada a irreale.