Foto da polignanoweb.it
Qualche anno fa a Polignano è stato ritrovato il diario di Giuseppe Mallardi, capitano dei lancieri di Murat.Sperando di ritrovare notizie a riguardo della fuga di Murat passando dal Gargano, ho letto il diario, che racconta del periodo dal 1807 al 1815 con particolare riferimento alle battaglie.
Non ho trovato ciò che cercavo ma solo una citazione dei marmi di Apricena usati nella reggia di Caserta e, chicca delle chicche, una serie di citazioni di un personaggio garganico in riferimento alla ritirata dell'armata napoleonica dopo la grande battaglia di Lipsia.
Prefazione: Scrissi queste brevi memorie, in forma di diario giornaliero, intitolandole “Durante il regno di Gioacchino Murat”, scrivendo quasi tutti i giorni, in guarnigione, nelle marce, sui campi di battaglia, ed anche durante la fatale ritirata di Russia, come in prosieguo vi dirò. Ebbi l’idea di scrivere questo piccolo diario, come più su vi ho detto, invogliato da un mio camerata francese, un tal Chourient, del reggimento Guardia Reale francese. Sul principio, lo cominciai come passatempo, ma poi ci trovai tanto gusto che quasi tutti i giorni ho scritto qualche cosa che ho creduto essere presa in considerazione, ed ho diviso questo piccolo lavoro in tre parti: La prima parte dall’11 gennaio 1807 all’8 aprile 1812; la seconda parte dal 2 maggio 1812 al 29 ottobre 1813, la terza parte dal 30 ottobre 1813 al 18 giugno 1815.
Riporto alcune delle parti che si riferiscono al nostro conterraneo; quello che ne emerge è un rapporto di amicizia e fiducia tra il capitano e quella che poi diventerà la sua guardia del corpo:
22 ottobre 1813. Dal villaggio di Frybourg 22 ottobre.
Dal villaggio di Frybourg. Alle ore 7 ant. ci siamo messi in marcia con tempo uggioso e freddo disposto alla pioggia. Il nostro corpo di cavalleria di un circa 5.000 uomini è stato incaricato di fiancheggiare il lato sinistro dell’armata e similmente altrettanta cavalleria fiancheggia il lato destro; entrambi con lo scopo di proteggere l'esercito marciante dagli attacchi dell’inimico. La nostra armata si è ridotta in uno stato compassionevole, la moltitudine degli inermi è strabocchevole; vedo anche, tra questi pedoni, soldati di cavalleria del nostro corpo, e se si va di questo passo, tra quindici giorni l'armata franceseè liquidata. Il nostro drappello napolitano nell'ultima rivista passataci da Gioacchino Murat, il 17 agosto scorso al bivacco di Görlitz, era del numero di 29,tra graduati e semplici, e tutti in quell'occasione fummo fregiati dal re con la decorazione della Legion d’Onore. Ora di quel drappello siamo rimasti in otto: il sotto-tenente Tocco, un maresciallo, cinque militi ed io. Tanto allora che oggi facciamo parte del 3° reggimento Corazzieri 6° squadrone, 4° plotone; i mancanti, chi allo spedale e chi volontariamente sperduto! Durante la giornata abbiamo dovuto caricare parecchie volte l’inimico che ci assaliva, sperdendolo.
Al mio fianco cavalca con assiduità un bravo giovane ed ardimentoso cavaliere, il quale non si è giammai distaccato dal mio lato fin dal 15 corrente. Egli il giorno 16 si è battuto coraggiosamente tutta la santa giornata restando sempre al mio fianco. Di questo giovine a me tanto affezionato finora non ho avuto campo di tener parola, perché assorbito sempre in avvenimenti maggiori. Costui si chiama Matteo Petroni, da Viesti garganico, e faceva parte del reggimento Guardie d’Onore nel 3° squadrone 7° compagnia alla partenza da Napoli.
Il 23 gennaio scorso, sperdutomi, e poi fortunatamente avendo rintracciato il reparto napolitano in Posen, come ebbi a dire più innanzi, trovai costui in qualità di scritturale del piccolo bureau del defunto capo squadrone Ascanio Colonna e da questo mi venne indicato come persona da potermi fidare all'occorrenza. Il Petroni mi ha fatto conoscere che il sotto-tenente Tocco ed il resto dei napolitani sono disposti a sbandarsi alla prima occasione favorevole. Io gli ho fatto osservare essere molto pericoloso l'attuare in simile momento lo sbandamento, perché con tutta la certezza si verrebbe a cadere nelle mani dell’inimico come prigioniero e passare tutti i malanni fino alla fine della guerra. Egli m’ha giurato che allora si muoverà quando io lo crederò opportuno. Nelle ore del pomeriggio ci siamo bivaccati tra il villaggio di Buttelstedt e Weïmar: qui, inutile dirlo, ognuno si è per proprio conto trovato il mezzo per potersi sfamare alla meglio.
Altri riferimenti nel resto del testo tra i quali riporto:
25 ottobre 1813
[...]Solo il Petroni ha seguito la mia idea per non lasciarmi solo, e tosto gli altri, dopo avermi baciato ripetute volte, si sono distaccati dal mio fianco, dandosi in balia del destino!
Ritornato sui miei passi triste e pensieroso, ho ringraziato il Petroni del suo fedele attaccamento
alla mia persona, promettendogli di attuare subito la nostra partenza in momento più opportuno e
con la probabilità di riuscita, stringendogli la mano, ho desiderato che venisse a dormire al mio fianco. [...]
26 ottobre 1813
[...]Dopo il rancio mi sono recato in città col Petroni ed abbiamo fatto acquisto di pane, salame ed
acquavite con la spesa di due scudi, essendo incarito il tutto dalla presenza dell’armata, la maggior
parte della quale si è riversata nella città, tantoda ostruire la circolazione in alcuni punti, abbenchè
Gotha sia molto vasta con larghe vie e spaziose piazze.
Nel corso della serata ho preso delle note dal mio tablettes ed ho consultato una piccola carta
geografica che ho acquistata in città per essermi di guida nel ritorno in patria.
Sono orribilmente stanco, ma in me si è sviluppato un pensiero, un ardore di allontanarmi quanto
più presto posso dall’armata francese. Ho comunicata quest'idea al mio buon Petroni, mentre siamo
presso un gran fuoco. Egli ha fatto adesione con gran giubilo al mio divisamento. [...]
27 ottobre 1813. Dal bivacco di Gotha
Dal bivacco di Gotha. Mentre dormivo profondamente avviluppato nel mio mantello
con i piedi, secondo l'uso, rivolti al fuoco, mi sono sentito dolcemente scuotere da mano amica: era
il Petroni che mi sussurrava all'orecchio essere già le 4 ant. Tosto mi son levato, è caldamente camminando nel semi buio, abbiamo insellati i cavalli conducendoli a mano e descrivendo dei larghi semicerchi per evitare i già quasi spenti fuochi.
Solo una sentinella del mio squadrone poteva accorgersi del nostro passaggio, ma in quel
momento dormiva.
Usciti dal bivacco, ci siamo incamminati sulla destra del fiume Leine e per maggior sicurezza
della nostra rotta ho voluto osservare se noi marciassimo controcorrente, qual’era il nostro
desiderio, onde portarci verso la catena montuosa eboscosa della Turigia, che si estende dal Sud
per la parte dell'Est. Il cielo è alquanto perso, ma grossi nuvoloni si spingono innanzi dalla parte del
Sud.
Dopo qualche ora d’incerto cammino è cominciata l'aurora, e alle 7 abbiamo visto con gioia
sorge il sole, il quale mi ha fatto orientare meglio con la mia bussola. Intravediamo sulla nostra sinistra, in lontananza, un villaggio e credo che sia Ordruf che trovasi al Sud di Gotha.
A pochi passi da noi sulla riva del fiume si trova un casolare in legno; capisco essere un mulino
ad acqua. Leghiamo i cavalli ai tronchi della palizzata e penetriamo nell'interno, per acquistare qualche poco di vettovaglia.
Appena ci scorge un garzone, tosto scappa per una porta laterale, dalla quale sbucano in tre, di cui due forniti di funi ed il terzo è armato di un lungo spiedo, facendoci segno di arrenderci, altrimenti ci avrebbe infilzati con la sua arma come allodole.
Gli feci vedere del denaro per calmarlo, ma a tale vista maggiormente s’inferocì, tanto da
slanciarsi contro per colpirmi, e se non mi fossi istantaneamente buttato da un lato, certo sarei stato
ferito. Ma per un poderoso fendente calato a tempo dal Petroni lo spiedo andò per terra, ed il braccio rimase penzoloni al corpo. Gli altri due a tal vista caddero in ginocchio e con le mani levateimplorarono grazia.
Subito li abbiamo legati saldamente tutti e tre con le funi che avevano preparate per noi. Rovistata la casa, abbiamo messo a disposizione dei cavalli frumento misto a farina per ristorarli in forze; oltre ad una piccola quantità che abbiamo potuto caricare nei sacchi sulle groppe dei cavalli; più abbiamo portato con noi pane, formaggio ed un piccolo fiasco d'acquavite; e tagliati gli ormeggi che tenevano legato alla riva il mulino, tosto la corrente l’ha trasportato verso Gotha. Lestamente inforcati i cavalli, ci siamo distaccati dalla riva del fiume dirigendoci verso la montuosa catena che si parava in lontananza, sempre guardinghi e sospettosi, senza incontrare anima vivente per la via.
Verso le 2 pom. abbiamo raggiunto le radici boscose delle montagne.
Siamo penetrati nella boscaglia per un sentiero forse praticato dai boscaiuoli o pastori, il quale
ci ha condotti dopo qualche 600 metri di giri tortuosi ad una specie di spianata del monte, da cui
ho potuto scorgere a circa un 3 chilometri di distanza il villaggio che nella mattinata aveva
osservato. Ci siamo ricoverati in una capanna di legno rozzamente costruita ed in pessime
condizioni, ma abbastanza spaziosa da tenere presso di noi i cavalli. Abbiamo preso qualche poco
di cibo, ma senza accendere il fuoco, per tema di far nota la nostra presenza, e dopo aver vergato
questi pochi righi ed esserci barricati alla meglio nell'interno della capanna, ci siamo sdraiati sopra
uno strame di foglie secche.
1 novembre 1813. Praterie bavaresi.
[...] Con sommo dispiacere ho visto allontanare i cavalli, ma ho notato essersi comportato con noi il
governatore da galantuomo. Dopo aver diviso tra me ed il Petroni gli appunti del mio diario, ci siamo di bel nuovo recati dal governatore, il quale dopo averci versato la moneta, ci ha rilasciato
un lasciapassare per maggior sicurezza nostra. [...]
4 novembre 1813. Ratisbona
[...] Qui ho subito ancora un altro dispiacere: essere diviso dal mio buon Petroni, il quale è andato a
compagnia in un camerone ad altri soldati prigionieri; io invece sono entrato in una camera ove sono disposti quattro lettini, dei quali l'ultimo non fatto viene assegnato a me. Qui vi sono diverse stanze per gli uffiziali. [...]
18 novembre 1813. Ratisbona
[...] Nel mio barcone ho fatto prendere posto anche al mio Petroni, il quale può dirsi essere l'ombra dei miei passi. [...]
8 marzo 1814. Sparanise
[...] Son rimasto al Castelnuovo fino a quando non ho visto sistemata la mia camera, e poscia con
l'amico Petroni, che ho invitato a pranzo con me, siamo stati indirizzati alla trattoria della Corona di
Ferro, che fu aperta nel luglio 1812 in via Toledo al n. 217, dove siamo stati trattati discretamente. [...]
29 gennaio 1815
[...] Nel pomeriggio ho incontrato per via Toledo D. Francesco Carone, Guardia del Corpo. Tosto egli si è avvicinato congratulandosi del mio avanzamento, e discorrendo mi ha fatto conoscere che spesso un suo collega, un tal Petroni Matteo, gli parla di me con molto entusiasmo, riferendosi alle due campagne del 1812 e 13, e che egli ha raccontato parecchi episodi, essendomi stato compagno fedele da Wilna fino al ritorno alla capitale. [...]
Emerge un rapporto di affetto e stima reciproca tra i due personaggi. Pensiamo poi alla situazione difficile come quella che si trovano ad affrontare i due combattenti; avere una spalla su cui poter fare affidamento in momenti delicati, quando si è addirittura alla fame, era ed è molto importante.
Devo riportare anche un'altra citazione, quella del foggiano Giuseppe Rosati.
Ieri morì D. Giuseppe Rosati, nostro conterraneo pugliese, nativo di Foggia, a circa 60 tanni, esimio scrittore. Ebbi il piacere di conoscerlo a casa Leto, di cui era un assiduo frequentatore.
Egli venne in Napoli giovanissimo e si acquistò fama di uomo molto dotto. Dette alle stampe diverse
opere tanto di agrimensura che di geografia e storia, secondo che mi aveva fatto cenno il duca.
Altre info su Rosati (link 1 - link 2)
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