Matteo Renzi a Mosca: partnership ritrovata tra Italia e Russia?

Creato il 08 marzo 2015 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

La visita del Presidente del Consiglio Matteo Renzi in Russia, conclusasi giovedì 5 marzo, ha mostrato la volontà dell’Italia di dare un segnale di distensione e porsi come mediatore nei confronti di un soggetto, la Russia, più che mai al centro delle critiche da parte degli alleati europei e degli Stati Uniti. Secondo quanto ha dichiarato il Premier italiano, infatti, della Russia non si può fare a meno nel nuovo scenario internazionale multipolare.

Nonostante le frizioni sul dossier ucraino e senza certo mettere in dubbio l’appartenenza dell’Italia al campo euro-americano, il risultato più evidente della visita del Primo ministro italiano è che Roma si rifiuta di considerare Mosca come una «minaccia» alla sicurezza dell’Europa. Al contrario, è necessario un coinvolgimento e un supporto sempre più importante della Russia per far fronte a sfide ben più significative, in particolare quelle agitano le acque del Mar Mediterraneo.

Forse per questo motivo la visita di Renzi in Russia ha seguito, sul piano diplomatico, un doppio binario, collocando l’Italia a metà strada tra chi in Europa preme per una posizione intransigente verso la Russia e chi invece promuove i negoziati. L’appartenenza dell’Italia al campo occidentale è senz’altro comprovata dalle mosse che hanno preceduto la visita di Renzi al Cremlino: l’incontro in Ucraina con il Presidente Porošenko e la deposizione del mazzo di fiori sul luogo dell’assassinio di Boris Nemcov appena giunto in Russia. D’altra parte, l’impostazione generale e il tono dei colloqui avuti a Mosca con il Presidente Putin costituiscono un chiaro segnale del fatto che, tra i Paesi facenti parti di NATO e UE, l’Italia è uno di quelli che maggiormente ricerca il dialogo con Mosca.

Come si apprende dalle dichiarazioni dell’ambasciatore ucraino in Italia Evgenij Perelygin, nei colloqui di martedì 3 marzo a Kiev il Presidente Porošenko avrebbe parlato con Renzi della prospettiva di un’assistenza italiana nel settore della difesa per la ristrutturazione dell’esercito ucraino e della sua Marina militare, nonché di un contributo italiano per il monitoraggio permanente del ritiro delle armi pesanti in dieci diversi centri abitati del Sud-Est del Paese. Inoltre, il Presidente ucraino avrebbe aperto alla partecipazione italiana alle privatizzazioni in Ucraina e alla messa in efficienza dei settori del gas e del riscaldamento. Infine, in vista dell’incontro con Putin a Mosca, Porošenko ha chiesto a Renzi di condizionare il rilancio del dialogo con Mosca «all’uscita della Russia dall’Ucraina». Ma soprattutto quest’ultima richiesta è stata ben lungi dall’essere soddisfatta.

Infatti, sebbene il Premier italiano non abbia preso alcuna posizione netta contro la volontà degli Stati Uniti di inviare addestratori e armamenti ulteriori all’esercito ucraino (questione su cui il governo russo si è definito «molto preoccupato», arrivando a paventare un irreversibile «deterioramento dei rapporti tra USA e Russia» qualora la popolazione russofona del Donbass venisse attaccata con armi americane), una volta giunto a Mosca Renzi non ha posto nessuna condizione ultimativa alla Russia in questi termini: il tono dei colloqui è risultato al contrario estremamente cordiale e improntato al dialogo.

Proprio il fatto che la questione della Crimea non sia stata affrontata e che quella dell’omicidio Nemcov abbia avuto una rilevanza marginale nell’andamento complessivo dei colloqui possono essere considerati dei chiari segnali di distensione. Il tono stesso delle dichiarazioni di Renzi sulla crisi ucraina, non solo a margine degli incontri con il Primo Ministro Dmitrij Medvedev e con il Presidente Putin, ma anche in un’intervista rilasciata martedì all’agenzia russa Tass, vanno incontestabilmente in questa direzione1. Nell’intervista alla Tass Renzi si è detto «ottimista» riguardo alle prospettive degli accordi cosiddetti Minsk-2, definiti «un passo avanti decisivo». Piuttosto che lanciare ultimatum, il Primo Ministro italiano ha al contrario affermato che «non esiste alternativa alla pace e al dialogo» in Ucraina e che «è necessario lavorare ogni giorno per questo, affinché le promesse e i presupposti di Minsk divengano realtà».

Sempre nella stessa intervista, Renzi ha inoltre ribadito la proposta del Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, relativa all’applicazione del modello altoatesino per pacificare le regioni del Donbass. L’Alto Adige-Südtirol rappresenta infatti un modello di convivenza e autonomia che può ben essere applicata al caso dell’Ucraina orientale: i germanofoni di questa regione godono di un’amplissima autonomia e mantengono stretti rapporti con la vicina Austria, ma il loro territorio resta comunque parte della Repubblica Italiana. Il Donbass potrebbe ragionevolmente godere di un grado simile di autonomia, salvaguardando ad un tempo l’integrità territoriale dell’Ucraina ma anche l’inestirpabile sentimento filorusso delle popolazioni che lo abitano.

Oltre all’atteggiamento conciliante sulla crisi ucraina Renzi ha di fatto chiesto a più riprese, nei colloqui con Putin, un coinvolgimento della Russia sulle principali crisi internazionali che interessano l’Italia nel Mediterraneo. Una mossa che va evidentemente in controtendenza rispetto ai tentativi di isolamento della Russia operati negli ultimi mesi dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Il premier italiano ha sottolineato l’importanza dell’aiuto russo nella risoluzione della crisi libica, definita da Renzi una questione «prioritaria», in special modo nel contesto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, anche alla luce dei rapporti sempre più stretti tra Russia ed Egitto.

Per parte sua, il Presidente Putin ha osservato che, nonostante i rapporti abbiano risentito della crisi ucraina, l’Italia rappresenta per la Russia uno dei partner più importanti «in Europa e nel mondo». «C’è un calo a causa dei noti avvenimenti» ha affermato il Presidente russo, «ma il livello di interscambio con l’Italia occupa un posto importante». Putin ha definito come «molto attivo» il dialogo politico tra i due Paesi e ha aggiunto: «non potrei non citare una sfera di attività in cui non collaboriamo», elencando le principali partnership strategiche italo-russe «nel settore energetico, della costruzione dei macchinari industriali, dello spazio e del nucleare».

La chiara volontà di Renzi di riaprire un canale di dialogo istituzionale con la Russia risponde chiaramente anche alla necessità di salvaguardare gli interessi economici dell’Italia. L’incontro con un centinaio di imprenditori italiani attivi in Russia, avuto da Renzi all’ambasciata italiana a Mosca poche ore prima del colloquio con Putin, è stato presumibilmente un’ulteriore testimonianze del fatto che le sanzioni reciproche tra Russia e Occidente hanno provocato seri danni all’economia nazionale. Danni quantificabili in diversi miliardi di euro: basti pensare che 1,25 miliardi sono stati persi solo dagli iscritti alla Coldiretti e che le esportazioni di made in Italy in Russia sono crollate dell’11,6% rispetto all’anno precedente, secondo le stime della stessa associazione.

«Le sanzioni economiche europee e le contro-sanzioni russe rappresentano un reale problema per entrambe le parti», ha dichiarato Renzi nelle dichiarazioni al termine dell’incontro durato tre ore con il Presidente Putin. E a suggellare la promessa della rinnovata volontà di cooperazione in campo economico, Italia e Russia hanno istituito un fondo congiunto di investimenti da un miliardo di dollari.

La due giorni di Renzi a Mosca evidenzia quindi come l’Italia voglia confermare la propria posizione moderata nella disputa fra Russia e Occidente. All’interno dell’Unione Europea, nonché dei membri dell’Alleanza Atlantica, esiste infatti oggi una diversità di vedute sulla crisi ucraina.

L’Italia sembra appunto essere capofila di quel fronte moderato costituito dai Paesi che, pur senza mettere in discussione i fondamenti dell’interpretazione occidentale della crisi ucraina (critica dell’annessione della Crimea e del sostegno russo ai separatisti nel Donbass), tra le righe giudicano controproducente la politica delle sanzioni contro Mosca e soprattutto sono decisamente contrari all’eventuale ingresso di Kiev nell’Alleanza Atlantica. A questa posizione si oppone invece la «linea dura» rappresentata dagli Stati Uniti e che ha il suo appoggio più significativo da parte dei Paesi baltici (Lettonia, Estonia, Lituania) e della Polonia, intransigenti nell’attribuire alla Russia tutta la responsabilità del conflitto in Ucraina e sostenitori della necessità sostenerla militarmente.

Sebbene l’Italia abbia avuto finora una posizione piuttosto marginale nelle trattative diplomatiche su tale questione, la visita di Renzi è un segnale di come l’Italia intenda lanciare un segnale alla comunità internazionale circa la propria volontà di contribuire ad una distensione dei rapporti. Dinanzi a sfide ben più reali e importanti – su tutte il terrorismo internazionale e la crisi libica – per l’Italia la Russia non costituisce in alcun modo una minaccia, bensì un partner indispensabile con cui si può essere anche in aspro disaccordo ma che resta fondamentale tanto sul piano economico-commerciale quanto nel campo della cooperazione in materia di difesa e sicurezza.


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